05 giugno, 2019

Randy Rogers Band - Hellbent


Prosegue con immutata ispirazione e freschezza il percorso artistico di Randy Rogers e dei suoi pards che ancora una volta volano a Nashville, nello storico studio A della RCA,  per incidere “Hellbent”, affidato alla mano preziosa ed esperta di uno dei producer più in vista di questi ultimi anni: Dave Cobb. E’ stata caratteristica peculiare della Randy Rogers Band quella di lavorare con gente che ha garantito  assoluta libertà di espressione ma che ha anche cucito loro un suono personale che li ha resi una delle migliori band tra rock e radici della scena non solo texana. Dopo Radney Foster, il cui sodalizio è durato per più di un album, ci sono stati Jay Joyce, Paul Worley, Buddy Cannon, tutti nomi legati ad una country music la cui essenza è stata sempre al primo posto del proprio impegno, fondendo i suoni ‘classici’ con scelte più rock senza però stravolgere nulla. Dave Cobb ha quindi lavorato di fino per far esaltare il songwriting di Randy Rogers che anche qui ha scritto eccellenti pagine di musica con amici come Adam Hood e soprattutto Sean McConnell, oltre a scegliere un paio di covers che ha sentito particolarmente vicine alla sua sensibilità come per esempio la splendida “Hell Bent On A Heartache” firmata da Guy Clark e dalla coppia Morgane & Chris Stapleton che dà in parte il titolo al disco e la corale e spumeggiante “”I’ll Never Get Over You” di Adam Wright dove è limpida l’unione tra la country music del Lone Star State e ‘istanze’ country-rock che rimandano alle migliori cose del genere negli anni settanta. La band è qui più compatta e coesa che mai, con il fiddle di Brady Black in grande spolvero, la chitarra solista di Geoffrey Hill sempre pronta ad entrare in scena e una sezione ritmica molto duttile affidata a Johnny Chops al basso e Les Lawless alla batteria. La partnership compositiva con Sean McConnell è tra le più ispirate e forma un po’ la spina dorsale del disco con la nostalgica melodia di “Anchors Away”, la sostanziosa essenza rock di “Comal County Line” in cui comunque non si dimenticano le radici country, l’inevitabile colorazione mexican della bellissima “We Never Made It To Mexico” e la tensione ‘western’ di “Fire In The Hole” a formare un poker d’assi di qualità. Tutto l’album è comunque ricco di spunti, scorrevole, piacevolissimo e da gustare in un sorso, con la sensazione di trovarci di fronte ad uno dei capitoli migliori del pur eccellente cammino di Randy Rogers.
Remo Ricaldone

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