Da
anni ormai Jeb Barry gira per l’area degli Appalachi alla ricerca della più
vera provincia americana, quella fetta di Paese in via di estinzione dove non
sono ancora arrivati i segni della globalizzazione e dove la vita scorre
(apparentemente) tranquilla tra personaggi e luoghi ordinari. La sua scrittura
è sempre stata caratterizzata da uno stile asciutto ed essenziale che va al
cuore delle storie che narra, usando un idioma legato profondamente a folk e
country music. Sia nella sua produzione solista che ora con i Pawn Shop Saints,
Jeb Barry ha mostrato talento e sguardo disincantato ma al tempo stesso
appassionato nel tratteggiare i contrasti e quelli che sono considerati i
luoghi comuni delle minuscole comunità tra le due Carolina e il Tennessee.
“ordinary folks” (minuscolo) è quindi una bella fotografia di tutto questo e
conferma le ottime sensazioni che il precedente, apprezzato “texas, etc…” aveva
messo il luce, con nove brani genuini pregevolmente interpretati con il trio
che lo affianca, formato dalle chitarre di Mike O’Neill, dai tamburi di Josh
Pisano e dal basso di Chris Samson. “New Year’s Eve, Somewhere In The Midwest”
è scritta a quattro mani con Jason Isbell, tra i nomi ai quali possiamo
paragonare la scrittura di Jeb Barry, con lo stile vicino a BJ Barham degli
American Aquarium e ad alcune cose di Steve Earle per quanto riguarda la
capacità di parlare delle comunità rurali degli appalachi senza risultare
retorico o banale. “You Don’t Know The Cumberland”, “Old Men, New Trucks”,
“Southern Mansions”, “Lynyrd Skynyrd”, “Body In The River” hanno il classico
mix di malinconia, mistero e narrazione ’dark’ che è un po’ la caratteristica
del Deep South. Un album questo che cresce inevitabilmente con gli ascolti e
che può contribuire a fare conoscenza con un artista la cui ricerca del ‘low
profile’ non deve farlo passare inosservato.
Remo Ricaldone
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