La
tradizione anglo-scoto-irlandese ha notoriamente giocato un ruolo fondamentale
nello sviluppo della musica roots in terra americana. L’old-time music, il
bluegrass ed il country & western si sono giovati di un patrimonio enorme
di ballate e danze che hanno fatto da base di partenza sulla quale si sono
innestate le tradizioni di altre minoranze linguistiche, creando un vivace e
straordinario ‘melting pot’. La scena americana che guarda con più attenzione
al retaggio anglosassone e celtico è comunque ancora molto interessante e Kevin
Buckley, ottimo fiddler e polistrumentista di St. Louis, Missouri, si aggiunge
a nomi come Tim O’Brien e a tutti coloro che tramandano, aggiungendo
inflessioni country-folk, un suono che genuinamente unisce i due lati
dell’Atlantico. “Big Spring” è il suo debutto solista e il primo lavoro che fa
emergere le sue radici irlandesi, dopo dischi in cui venivano proposti suoni
più rock, ed è un buon compendio di ciò a cui il musicista è più legato e che
vuole porre all’attenzione degli appassionati. L’attenta scelta del materiale
che predilige i traditional strumentali, l’approccio passionale che evita
virtuosismi fini a se stessi e punta all’essenza delle melodie, la perizia tecnica
e la semplicità negli arrangiamenti fa si che l’album scorra con naturalezza,
rendendo il tutto godibile ed accattivante. C’è poi il valore aggiunto dei tre
brani cantati, tre momenti di grande poesia come “The Blackest Crow”, la
splendida ripresa di “Never Tire Of The Road” di Andy Irvine, già con i mitici
Planxty, band irlandese che ha scritto la storia del folk nell’Isola di
Smeraldo e “Miss Bailey” che nobilitano ulteriormente l’album. Con un paio di
canzoni in più il disco sarebbe risultato ancora più prezioso ma noi ci
accontentiamo e aspettiamo Kevin Buckley ad una prossima prova che confermi la
bontà di un percorso intrapreso con amore e passione.
Remo Ricaldone
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