Pi
Jacobs, californiana, al settimo disco, ha inciso quello che probabilmente è
una svolta e al tempo stesso l’inizio di un nuovo capitolo nella sua carriera
all’insegna di suoni tra blues, rock e americana. L’incontro quasi casuale con
Aaron Ramsey, produttore e musicista di notevole talento legato a suoni più
acustici e roots, in un locale di Floyd, Virginia dove le radici sono intense e
sempre in bella vista ha portato Pi Jacobs a rivedere le sue prospettive, a
scrivere con un’insospettata nuova forza espressiva. E così questo “A Little
Blue” rivive di limpida luce acustica e le composizioni acquistano connotazioni
maggiormente roots in un percorso molto ‘laid back’, efficace ed espressivo.
Tra chitarre acustiche, dobro, lap steel e un notevole intreccio di voci,
maschili e femminili, il disco ha i suoi momenti più felici e pregevoli in “We
Always Come Home” dalle sfumature cromatiche che virano verso certo (southern)
soul, nella potente ancorchè acustica “Dead Man” con un bell’incrocio tra
chitarre e dobro, in una “Dance Clean” molto esplicativa del ‘nuovo corso’ di
Pi Jacobs in cui passato e presente si amalgamano con classe, in “The Moment”
profonda e meditativa, in “Good Things” in cui riemerge il passato dell’artista
cresciuta a San Francisco con blues rock nelle vene, in “Faking It” ballata
sontuosa tra gli ‘highlights’ dell’album così come “Weed And Wine” in
un’accoppiata decisamente vincente. “A Little Blue” pone Pi Jacobs tra le voci
più genuine del panorama ‘americana’ in una cornice acustica che la avvicina
sia alle figure femminili che provengono dalla tradizione sia a quelle che
propongono una visione di canzone d’autore più mainstream. In ogni caso un
disco elegante e significativo.
Remo Ricaldone
0 commenti:
Posta un commento