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Ed Romanoff - The Orphan King

Pubblicato da Remo Ricaldone |



Ha cominciato a fare musica ‘seriamente’ tardi, circa sui quarantanni, ma, nonostante ritmi lenti e meditati e una produzione ancora decisamente parca, Ed Romanoff rappresenta al meglio la grande tradizione della canzone d’autore americana. Il suo debutto nel 2012 con un album prodotto da Crit Harmon (già alle spalle di Lori McKenna e Martin Sexton tra gli altri) era una bella sorpresa e ci presentava una artista già maturo e pronto per spiccare il volo e il supporto di gente come Steve Earle e James McMurtry, le frequentazioni giuste e l’amore per Guy Clark, John Prine, Kris Kristofferson ma anche per la poetica di Leonard Cohen ne ha fissato le coordinate di una carriera che ora si arricchisce di un secondo eccellente capitolo intitolato “The Orphan King”. In questo disco cambia la produzione (ora nelle mani di Simone Felice che con il fratello James contribuisce anche a livello strumentale) ma non la sensibilità e la profondità espressiva di Ed Romanoff che ci presenta una nuova serie di canzoni che toccano cuore ed anima grazie ad un grande coinvolgimento emotivo e a continue, suggestive citazioni. Inevitabili tratti autobiografici ma anche la capacità dei grandi scrittori di creare storie e personaggi, infondere loro passione e credibilità, sono alla base di queste tredici canzoni a cui partecipano la grande amica Rachel Yamagata, Kenneth Pettengale (la metà dei Milk Carton Kids), Cindy Cashdollar (le cui grandi doti hanno arricchito i repertori di Bob Dylan e Dave Alvin solo per fare due nomi) e sopra tutti per quantità e qualità l’immenso Larry Campbell, uno capace di stupire per gusto e tecnica a qualsiasi strumento a corda, qui a chitarre elettriche ed acustiche, basso, steel guitar, fiddle, mandolino, harmonium. Quella di Ed Romanoff è una musica le cui radici vanno dal patrimonio folk a quello country, da inflessioni irlandesi alla lirica che ha contraddistinto per esempio Leonard Cohen, musicista che secondo me ha lasciato tracce importanti nelle sonorità del cantautore residente nello Stato di New York. “Eelephant Man”, la title-track “The Orphan King”, “Leavin’ With Somebody Else” tanto delicata quanto incisiva, il fascino appalachiano vicino alla sensibilità di John Prine di “Less Broken Now”, l’ombra del ‘vate’ di Montreal in “The Ballad Of Willie Sutton” e “Miss Worby’s Ghost”, “The Night Is A Woman” tra i capolavori del disco, la scarna, essenziale e potente “Coronation Blues” lasciata intelligentemente in coda per far si che l’ascoltatore abbia la voglia di rimettere subito dall’inizio l’album, ecco questa è la ‘spina dorsale’ di un disco che dimostra quanti siano i ‘best kept secrets’ che girano, con profili bassi, nel sottobosco indipendente americano.
Remo Ricaldone

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