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Helene Cronin - Old Ghosts & Lost Causes

Pubblicato da Remo Ricaldone |


Dotata di grande espressività vocale, di uno stile in bilico tra country music, canzone d’autore folk e spruzzate rock e di eccellenti capacità compositive, la texana Helene Cronin firma il suo primo album ‘a lunga durata’ dopo due interessanti ep. La produzione di Matt King contribuisce a rendere nitide le melodie grazie ad arrangiamenti impeccabili dove una sezione ritmica di estrema efficacia come quella formata da due ‘Nashville Cats’ come Chad Cromwell alla batteria e Byron House al basso, le sempre magnifiche chitarre del ‘Fabulous Superlatives’ Kenny Vaughan e gli strumenti a corda (chitarre, steel e mandolino) nelle sapienti mani di Bobby Terry rendono queste canzoni veri gioiellini. Helene firma così il suo lavoro più maturo e completo regalandoci sprazzi di gran classe attraverso una scrittura di una bellezza non comune, notevole già in apertura con un pickin’ chitarrista che mi ha ricordato la prima Suzanne Vega ed il miglior cantautorato di estrazione roots in “Careless With A Heart”, suadente carezza e pura poesia. Più robusta e tesa è la seguente “Mean Bone”, pervasa di rock e blues grazie alla bella armonica di Heidi Newfield per poi tornare a cullarci con un’altra magnifica ed evocativa ballata, “Humankind”, pervasa da country music nella sua migliore accezione. Le performance vocali di Helene Cronin, il suo approccio cristallino, intenso, pulito sono una carta vincente del disco, una selezione che non sbaglia un colpo e che trasmette in ogni piega, in ogni verso, emozioni tangibili. “Devil I Know” è in questo senso un altro momento da ricordare, agrodolce e coinvolgente nei suoi chiaroscuri. “Riding The Gray Line” ci porta per mano nell’amato Texas sulle soffici note di una ballata dai toni ancora una volta commoventi che rimandano alle migliori canzoni di Mary Chapin Carpenter con cui Helene condivide intensità interpretativa. I ritmi poi risalgono con “El Camino Fly” che non sarebbe dispiaciuta a Tom Petty o a Melissa Etheridge, roots-rock notevole, “In A Kiss” è inevitabilmente accorata mentre “The Last Cowboy” è ballata che incarna splendidamente lo spirito western in un abito country-folk. Il trittico finale invece alterna folk e country come meglio non si potrebbe, iniziando da “God Doesn’t”, inserendo un ottimo brano country che sicuramente farà la sua bella figura dal vivo, magari cantato  anche dal pubblico, come “Mongrels And Mutts” e “Ghost” che suggella e conferma la grandezza di un nuovo nome da inserire tra i migliori della scena americana.
Remo Ricaldone

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