Quattordici
dischi sono un ‘bottino’ corposo e qualitativamente rimarchevole per un
songwriter di assoluta grandezza come Rod Picott. Un repertorio che è andato
via via ampliandosi raggiungendo un livello ormai consolidato che “Paper Hearts
and Broken Arrows” conferma appieno, affidandosi ancora una volta al produttore
che da anni affianca Rod Picott: Neilson Hubbard, già membro degli Orphan
Brigade. Rod sta vivendo in questi ultimi anni un periodo di straordinaria
prolificità espressiva realizzando ben quattro dischi nell’arco di tre anni e
dando piena realizzazione ad un forte bisogno di manifestare tutta la sua
valenza poetica, riempiendo le canzoni di personaggi e situazioni sempre
accattivanti in una essenzialità negli arrangiamenti che rende il tutto
incisivo ed autentico. Il Houston Chronicle ha definito le sue canzoni
paragonandole alle ‘short stories’ di Raymond Chandler ed effettivamente questo
è tra i paragoni più calzanti accostandone talento lirico e visione letteraria.
Dodici sono i quadretti dipinti con mano sicura talvolta con l’aiuto di altri
autori come il carissimo amico Slaid Cleaves (“Through The Dark” e la
conclusiva “Make Your Own Light”) e Mark Erelli (la splendida “Washington
Country”, tra gli ‘highlights’ del disco). Ogni sfumatura è comunque
profondamente meditata ed inserita in un contesto riflessivo e genuinamente
poetico, capace di attrarre con storie come quella per certi versi drammatica
di un grande campione di pugilato (l’ottima “Sonny Liston”) oppure fotografare
luoghi e persone amate (“Lost In The South” e “Mark Of Your Father”). Brani
come “Frankie Lee”, “Revenuer”, “Valentine’s Day” e “Dirty T Shirt”
sottolineano la bontà di una proposta che nobilita la scena cantautorale a
stelle e strisce di cui Rod Picott rappresenta una delle punte di diamante.
Remo Ricaldone
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