Quella
del texano Stefan Prigmore è una scrittura asciutta, tesa, evocativa che si
colloca tra country, folk e canzone d’autore, una musicalità che lo affianca a
grandi come John Prine, Chris Knight, Jason Isbell e Ian Noe. Racconti di
un’America di provincia che nelle sue mani assume toni e colori estremamente
poetici, avvalendosi di un fascino inversamente proporzionale all’essenzialità
degli arrangiamenti. “Everything Is At Least Both” è prodotto a quattro mani
dallo stesso Prigmore e da Clay Parker che già era al suo fianco nel precedente
“River/Blood” e lo supporta strumentalmente intrecciando chitarre acustiche ed
elettriche, con l’ulteriore aiuto da parte di James McCann a dobro e pedal
steel e di Pete Damore del duo Ordinary Elephant al mandolino. L’album è un
viaggio intenso, accorato e agrodolce su strade sicuramente già battute ma
proposte con un talento non comune, cantate esprimendo in ogni canzone emozioni
vere. Un disco coeso che chiede solo attenzione e cura e sa regalare ballate
struggenti e storie spesso tormentate. “Gunpowder And Pine”, “Devil Dogs And
The Rattlesnake”, “CV One Nine” ma anche “I Play C” e le suggestioni (real) country di “Door Girl” risultano
semplicemente irresistibili per chi ama una certa idea d’America che ha a che
fare con l’immaginario più poetico e suggestivo, mutuata dal cinema
indipendente e dai romanzi di questi anni. Stefan Prigmore è senz’altro nome da
tenere d’occhio.
Remo Ricaldone
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