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Austin Mayse - Bridges and Kerosene

Pubblicato da Remo Ricaldone |

Austin Mayse non è nuovo sulla scena texana, aveva debuttato nel 2009 con un disco intitolato “Devil On My Shoulder”, lavoro rimasto per anni il suo unico sforzo solista. E per anni Austin ha avuto i suoi alti e bassi, senza riuscire a dare seguito a quell’album che solo ora, grazie alla perseveranza di gente come il produttore Chris Beall, l’ingegnere del suono Ron Flynt e la coppia Walt e Tina Wilkins, vede la luce e lo proietta alla ribalta con forza e passione. “Bridges And Kerosene” mostra qualità nella scrittura, maturata fortemente rispetto agli esordi, convinzione nelle interpretazioni e finalmente un ‘abito’ cucito su misura che risulta intenso ed intrigante, nella migliore scia della tradizione del Lone Star State. Austin Mayse è cresciuto con la musica di Jerry Jeff Walker, BW Stevenson, Rusty Wier (con il quale ha collaborato e lo ha avuto come ‘ospite’ nel disco di esordio, poco prima che Rusty ci lasciasse) e lo stesso Walt Wilkins, trovando un suo stile narrativo che è il marchio di fabbrica dei musicisti texani viaggiando in bilico tra country music, fascinazioni folk e quella personalità e quello spirito non lontano da certo (roots)rock. “Bridges And Kerosene” è quindi un prodotto appetibile e ricco di spunti, solidamente costruito sulla base di storie credibili e vigorose che vedono alternarsi momenti più introspettivi ad altri più spigliati e frizzanti. “Leave Your Leavin’” apre nel migliore dei modi il disco con quella convinzione che mantiene per tutta la durata di una selezione equilibrata e foriera di una rinascita artistica piena e completa. “Wretch Like Me”, per certi versi autobiografica e con una punta di inevitabile ironia, “Rattlesnake”  dal piglio quasi western con le chitarre pregne di ‘twang’ e con un break di tromba dello stesso Austin Mayse, la deliziosa “Bluebonnet” con il segno distintivo di un grande amore per uno dei simboli texani, “On My Way” attendista e gustosa con le ‘pennate’ di steel guitar dell’ottimo Geoff Queen e la purezza country di “Whiskey, I’m Gone” caratterizzano la prima parte dell’album celebrando con la giusta intensità le proprie radici e gli amori di una vita. Con “The Sober Light” si riprende il discorso con un godibile ‘waltz time’ che ci porta per mano nella tradizione country più autentica, “The Last Rose Of Summer” è ancora pervasa dallo spirito musicale del Lone Star State nella sua accezione migliore con il bel fiddle di Jenee Fleenor, così come in “The Rose Of Thorndale” mentre la conclusione è affidata a “Traveler’s Prayer” che conferma profondità ed eccellente senso melodico. Perfetta chiusura di un album che non farà fatica ad entrare nelle grazie di chi ama i suoni roots che provengono dal Texas.

Remo Ricaldone

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