Sono
già dieci i capitoli del percorso discografico di Bob Bradshaw, irlandese ormai
da una trentina di anni residente negli States e musicista che ha saputo
coniugare canzone d’autore e il roots-rock con fare personale senza però
dimenticare l’ispirazione di grandi nomi da entrambi i lati dell’oceano come
Nick Lowe, John Hiatt e Guy Clark ma anche Paul Brady, Tom Petty e il Warren
Zevon meno ‘selvaggio’. “The Art Of Feeling Blue” prosegue questo racconto che
ha molto di autobiografico, esplorando una personalità dal profondo senso
poetico e guidata anche dall’amore per il rock, mostrando sempre più sfumature
a mano a mano che i dischi si accumulano e si aggiungono nuove canzoni. Dodici
sono i brani incisi con una solida band guidata dalle chitarre di Andrew Stern
e di Andy Santospago, sorretta dalla sezione ritmica formata da John Sheeran al
basso e Mike Connors alla batteria e arricchita dalle armonie vocali della
brava cantautrice Kris Delmhorst, dalle tastiere di James Rohr e dal fiddle di
Chad Manning a fornire suggestioni folk. Fino dalla copertina si percepisce
quella sottile vena maliconica che pervade il disco, sia inevitabilmente nelle
ballate che talvolta nei momenti più vicini allo spirito rock, giocando sulle
emozioni che Bob Bradshaw sa esprimere con eleganza e gusto melodico come per
esempio nella significativa canzone che da’ il titolo all’album. “Waiting” apre
il disco con un’avvolgente atmosfera ‘pettyana’, un rock solido ed incalzante
che mette subito in chiaro le intenzioni e mostra un Bob Bradshaw in ottima
forma compositiva, dando subito spazio ad una “Everybody’s Smalltime Now” più
intimista e attendista, una ballata dal passo sicuro che svela note
autobiografiche. “I Know A Place” è un altro momento da incorniciare, una
ballata dalle tonalità acustiche che ha il sapore ‘blue’ di un Nick Drake o di
un John Martyn, con i brumosi paesaggi anglosassoni a venire a galla, mentre “Hot
In The Kitchen” è un roots-rock di chiara marca americana, piacevolissimo nel
‘refrain’ e trascinante con il suo sapore anni settanta. “I Keep It Hid” è una
piccola gemma, accorata nel suo raccontare le sfumature del carattere di Bob
Bradshaw, diviso tra l’essere una persona gelosa del proprio privato ma al
tempo stesso con l’urgenza di rendere universali messaggi che possano essere
condivisi con il pubblico. “Rosa” si stacca un po’ dal mood del disco con le
sue inflessioni ‘spanish’, grazie alla tromba di Jacob Valenzuela, alla corte
dei Calexico e ispiratore di una melodia che sa intensamente di storie di
confine, “The Silk Road Caravan” non si stacca molto dalla precedente con la
sua forte carica evocativa che la lega
agli stessi luoghi e la seguente “Somebody Told Me A Lie” è deliziosamente ‘old
fashioned’ con una sinuosa steel a contrappuntare la melodia. “Thought I Had A
Problem” è più robusta con una bella base chitarristica, una canzone che
personalmente mi ricorda certe cose di Elvis Costello, chiudendo la selezione
con una discreta “Let Sleeping Gods Lie” e una molto più convincente “Stepping
Stones”, accorata e ‘folkie’ con il suggestivo fiddle di Chad Manning ad
intrecciare emozioni e suggestioni. Disco maturo e passionale.
Remo Ricaldone
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