
Yvette
Landry, musicista (e molto altro) che proviene dal cuore cajun della Lousiana,
conferma con questo secondo album quello che di buono si era detto su queste
‘pagine’ in occasione del suo debutto intitolato “Should Have Known”. La sua è
una country music vibrante e profondamente onesta, pregna di inevitabili
inflessioni cajun ma anche di uno spirito che la accomuna a molta della musica
che si produce in Texas. Non a caso alle session che hanno portato alla nascita
di “No Man’s Land”, i nomi di gente come Cindy Cashdollar e dell’ex Lost Planet
Airmen di Commander Cody Bill Kirchen si affiancano a Dirk Powell, Joel Savoy e
Richard Comeaux (eccellente steel guitarist) unendo idealmente Lone Star State
e Louisiana. I riconoscimenti ottenuti con il suo esordio e la conseguente
attività live a suo supporto hanno ulteriormente affinato capacità e doti
limpide, esaltando l’amore per l’honky tonk più classico e per le proprie
radici. Lo sforzo compositivo dell’artista di Breaux Bridge è qui sublimato da
dodici nuove canzoni (più una azzeccata cover) e da una freschezza che molte
sue blasonate colleghe si sognerebbero di avere. Da “Dog House Blues” a “Three
Chords And A Bottle” (una vera dichiarazione di intenti), da “Forever Cowboy”
alla festaiola “Yeah, You Right!” tra blues, country e zydeco, fino alle
pregevoli “Lord, I Get High” bella ballata di Matt Kline, alle suggestioni ‘old
timey’ di “I Love To Lay You Down”, all’eccellente “Little Gold Band” e alla
significativa “What In The Hell They Did Back Then”, assistiamo ad una
selezione estremamente godibile e perfettamente in linea con la country music
più genuina, oggi troppo spesso confinata entro uno sterile guazzabuglio di pop
e mainstream rock (!). Merito di produzioni come queste che gli appassionati
possono apprezzare l’anima di una tradizione profonda e ancora in grado di
‘graffiare’ come nel caso di Yvette Landry.
www.yvettelandry.com.
Remo Ricaldone
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