Nato
e cresciuto in Ohio, nella più profonda provincia americana, Wayne Haught ha
accumulato esperienze di vita e di musica attraverso un percorso lungo e
articolato trasferendosi dapprima a Oakland dove ha fatto parte di numerose band
tra country music e rock e poi scegliendo le colline della Sonoma County quale
residenza. Nel 2011 ha debuttato con l’interessante album intitolato “The
Crying Kind” che ci ha presentato un musicista dalle tante facce, dall’amata
country music di Johnny Cash, Waylon Jennings e Hank Williams alla canzone
d’autore folk con risvolti spesso
‘dark’, dal rockabilly più scarno e scheletrico al blues, fino a reminiscenze
quasi bluegrass. Le liriche sono poi di grande spessore e sensibilità con storie
che narrano di amore e morte, di gioia e di dolore, di amicizia e di perdita,
il tutto con profondità e cuore non comuni. Ora Wayne Haught arriva al secondo
disco prodotto dal grande Peter Case in cui l’ex Plimsouls guida con classe un
solido manipolo di ottimi musicisti nel supportare queste dieci nuove
composizioni. Lo stesso producer non si esime dall’aggiungere il suo tocco
strumentale (al piano, organo e voce) in tre canzoni mentre David Steele alle
chitarre, Don Heffington alla batteria e Greg Leisz al dobro, tutti coinvolti
negli anni nelle registrazioni di gente come John Prine, Lucinda Williams,
Emmylou Harris, Bob Dylan, Steve Earle e Lone Justice tra gli altri, suonano
con la consueta, straordinaria bravura. “Fingers” è quindi, inevitabilmente,
ricco di spunti e di canzoni che lasciano il segno, dalla bellissima “Where
Bluebirds Sing” che apre l’album con un tocco molto tradizionale (e anche molto
texano) alla immaginifica “Political Song For Waylon Jennings To Sing” con il
bel mandolino di Craig Eastman (bravo anche al fiddle) e un’atmosfera che si fa
più elettrica e ‘outlaw’, dal rockabilly ‘sporco’ e viscerale di “Release Me To
The Mouth Of Glory” a “Mail Pouch Chew Tobacco” nuovamente sulle corde di una
country music ‘fuorilegge’ e genuina. “Horseshoe Tattoo” ha ancora l’andamento
dei classici tra country music e spunti sudisti, la title-track “Fingers”
aperta dal fiddle di Craig Eastman è interpretata con passione e sincerità,
“Death Week In Memphis” è ballata magistrale, pungente ed evocativa, mentre alla
lunga e discorsiva “All The Way To Heaven’s Gate” è affidata la chiusura di un
disco che conferma Wayne Haught talento da tenere in considerazione. www.waynehaught.com .
Remo Ricaldone
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