I
Bottle Rockets sono ormai da un quarto di secolo una delle più fresche,
coerenti e brillanti band del panorama roots rock americano e non mostrano
minimanente di allentare la presa. Brian Henneman e soci, da St. Louis,
Missouri, hanno sempre portato nella propria musica la forza del rock’n’roll e
la poesia delle radici, perseguendo il loro sogno con sagacia e la dozzina di
album proposti sono una carrellata di canzoni godibili dal taglio ‘blue collar’
e la convinzione nella loro ‘missione’. Reduci dal disco acustico intitolato
“Not So Loud” che rileggeva in chiave rilassata e scarna alcuni loro brani del
passato, i Bottle Rockets tornano a colpire con la loro forza elettrica a
distanza di ben sei anni dal precedente lavoro con canzoni nuove e lo fanno con
uno dei migliori album da molto tempo a questa parte. “South Broadway Athletic
Club” suona vibrante e solido come se il tempo non fosse passato, con inalterato
entusiasmo e grande bravura, la sapiente produzione di Eric ‘Roscoe’ Ambel è
garanzia di qualità e la vena compositiva è frizzante e di spessore. Le
chitarre di Brian Henneman e di John Horton, i tamburi dietro ai quali siede
Mark Ortmann e il potente basso di Keith Voegele ci regalano momenti
importanti, dal suono pieno, tra le cose più roots degli Stones e certo
‘southern rock’, la tradizione ‘pub rock’ dell’Inghilterra degli anni settanta
e la passione per le radici country. Tra “Monday (Everythime I Turn Around)”
che introduce il disco e “Shape Of A Wheel” che lo chiude c’è tutta la passione
di un fuoriclasse come Brian Henneman, cresciuto a pane e musica, con i primi
passi nell’ambito musicale addirittura come ‘roadie’ per gli Uncle Tupelo dai
quali evidentemente ha mutuato l’amore per l’alternative country,
inevitabilmente incrociato con il più classico del rock’n’roll. “Big Lots Love”
ha il passo sicuro di un Tom Petty, “I Don’t Wanna Know” è ancora tra le cose
migliori del disco con la sua melodia incisiva e un piglio rock notevole, le
inflessioni country di “Dog” e “Smile” sono decisamente godibili, “Something
Good” con la Rickenbacker in primo piano non può non ricordare Byrds, Long
Ryders o ancora Tom Petty, “Building Chryslers” taglia come una lama mentre
“Ship It On The Frisco” è una ballata che trasuda ‘southern soul’ da tutti i
pori e mi ricorda il mai troppo rimpianto Arthur Alexander, uno che aveva
saputo unire country e soul con grande bravura. Queste e altre canzoni fanno
bella mostra in un album che certamente non sarà ricordato come rivoluzionario
ma che vi regalerà tanti momenti di grande musica americana.
Remo Ricaldone
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