Richard
Dobson e W.C. Jameson sono due grandi troubadour texani, due cari amici che
uniscono la loro poetica in un disco emozionante e ispirato che gioca sulle
emozioni, sulle riflessioni e sulle considerazioni di due veterani che fanno
parte del gotha della country music e della canzone d’autore di ispirazione
folk del Lone Star State. Richard Dobson è da tantissimi anni, più di
venticinque, emigrato in Europa per continuare a proporre album dal taglio
nitido e capace, degno di affiancarsi a gente come Waylon & Willie, Billy
Joe Shaver e Guy Clark con cui condivide le stesse sonorità, riuscendo sempre a
rendersi credibile e a confermare la definizione che una volta diede Nanci
Griffith, l’Hemingway della Country Music. W.C Jameson è molto meno noto e meno
prolifico ma le sue prove discografiche sono sempre state quelle di un
eccellente artigiano dei suoni texani, descrivendo con arguzia e sagacia i
luoghi e i personaggi di quelle terre. “Plenty Good People” è un delizioso
viaggio e un piacevole incontro tra due compagni di avventure in cui vengono
raccontate storie con lo spirito di una rimpatriata che è lo sprone per riproporre
le proprie esperienze. Queste session sono affrontate con grande passione,
immensa classe e immutata voglia di fare musica. Dieci brani in cui le
collaborazioni portano alle splendide “Brother River”, “Hard Rock Arkansas”, la
title-track “Plenty Good People” e “Woman Up In Dallas, Woman In New Orleans” e
dai rispettivi cataloghi arrivano la classica “Living With A Loaded Gun” e “A
Matter Of Professional Pride” per Mr. Dobson, “I’m Waitin’” e “I’m Just Free”
per Mr. Jameson, tutte con lo spririto outlaw nel cuore e l’honky tonk come
motivo di vita. Due sono le cover e se “A Step Away From Homeless” (di Bud
& Charey Steel) è una piacevole sorpresa, “Me And Paul” ci fa ritrovare il
classico di Wille Nelson in una veste riverente e calda. I due protagonisti si
alternano naturalmente con le loro voci ancora capaci di commuoverci e
coinvolgerci, mentre dal punto di vista strumentale sono da segnalare il lavoro
prezioso di Andre Mathews alle chitarre acustiche ed elettriche, quello di
Javier Chaparro al violino e quello di Franci Jarrard a fisarmonica e tastiere,
ad evocare spesso il border e i suoi colori. Un grazie sentito all’etichetta
elvetica Brambus che in questi anni e attraverso ben quattordici album ha
permesso ad un grande come Richard Dobson di esprimersi e di regalarci tante
gemme.
Remo Ricaldone
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