Chi
ha amato l’alternative country di una delle band seminali del genere come gli
Uncle Tupelo o in questi anni i Son Volt di Jay Farrar, naturale continuazione
di quell’avventura, troverà nei June Star stimoli e fascinazioni che faranno
rivivere le pagine più belle dell’incontro fra rock e radici. Nati nel 1998
nella cittadina di Westminster, a poche miglia da Baltimore, Maryland, i June
Star sono la band di Andrew Grimm, cantante, autore, ottimo chitarrista e anche
banjoista. Con David Hadley alla pedal steel, Kurt Celtnieks alla batteria e il
produttore Andy Bopp a chitarre, tastiere e percussioni a completare la
line-up, i June Star firmano uno dei migliori lavori della loro già corposa
produzione discografica, l’undicesimo disco dal 1998. Già la voce del leader
ricorda spesso quella di Jay Farrar, profonda ed evocativa, assolutamente a
proprio agio sia nelle ballate acustiche sia nei brani più rock. Grande è
l’attenzione per la letteratura (June Star è il nome di uno dei protagonisti di
uno dei romanzi di Flannery O’Connor, tra le ‘grandi firme’ del Sud degli
States) e quello che viene fuori è un album dal fascino sorprendente che cresce
ascolto dopo ascolto fino ad entrare definitivamente sotto pelle e a rappresentare
una delle cose migliori dell’anno. “Pull Awake” non spreca una sola nota, gioca
con passione e sincerità con le emozioni tra country, folk e rock mostrando
quanto Andrew Grimm sia maturato e oggi possa raffigurare un moderno troubadour
sulla scia dei grandi poeti prestati alla musica come Chris Knight e Steve
Earle, per citare i primi due nomi che vengono in mente. Da “Tether” a “The
King Is Dead”, i due ‘estremi’ del disco, ruotano personaggi e storie
pregnanti, i luoghi dell’America più profonda con i suoi contrasti ma
soprattutto con la sua estrema umanità. “Feathers”, “Proof”, “Walk Away”,
“House Call”, “Wonders” sono piccoli gioiellini perfettamente incastonati in un
insieme che riserverà momenti piacevolissimi. Caldamente consigliato.
Remo Ricaldone
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