Al
Scorch è cresciuto a musica e impegno politico in una città come Chicago in cui
tradizione e rock hanno creato mix veramente intriganti. L’amore per la musica
old-time, per il punk e per i suoni irlandesi ne hanno forgiato lo spirito e le
sue storie accompagnate da banjo e chitarra sono qui a dimostrarlo. “Circle
Round The Signs” vede Al Scorch approdare all’etichetta ‘di casa’ Bloodshot
Records, sempre sensibile quando le radici vengono coniugate con il rock più
sudato e febbricitante e l’azzeccato binomio tra gli strumenti acustici e la
grinta con cui queste canzoni sono interpretate è decisamente vincente. La
partenza ai cento allora di “Pennsylvania Turnpike” come se gli Old Crow
Medicine Show fossero nati in Irlanda è il migliore dei biglietti da visita,
così come l’intrigante vena dixieland di “Everybody Out” porta alla memoria le
Seeger Sessions di Bruce Springsteen. Al Scorch è uno storyteller vero, uno
spirito libero che trascina con la stessa verve di un Chuck Ragan o dei
Flogging Mollys, altri due esempi. “Insomnia” con i suoi repentini cambi di
ritmo è un altro momento topico dell’album con fiddle e banjo protagonisti,
“Lonesome Low” fa raffreddare un attimo le corde e lo fa con una melodia
semplice e coinvolgente, nostalgica e calda, “Want One” riprende con immutato
vigore un percorso godibilissimo. Spirito folk ed energia punk. “Slipknot”
resuscita le grandi string bands degli anni trenta con un pizzico di blues e
con la proverbiale forza, l’orgogliosa “Love After Death” profuma d’Irlanda
mentre dal lato ‘tranquillo’ si segnalano “City Lullaby” e la tersa melodia di
“Poverty Draft” con il french horn di Justin Amolsch ad accompagnare l’acustica
di Al Scorch. Bella sorpresa quella di Mr. Scorch, da seguire.
Remo Ricaldone
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