Originario
dell’Oklahoma, al terzo album all’attivo, John Calvin Abney può essere
accostato come sensibilità a personaggi come John Fullbright e Parker Millsap
con i quali condivide la passione per la canzone d’autore unita alla vicinanza
a band americana come Jayhawks e Wilco. La sua esperienza come ‘sideman’ in
compagnia di John Moreland e i Damn Quails lo ha fatto maturare moltissimo come
strumentista e la ottima vena compositiva di quest’ultimo periodo ha fatto si
che JC Abney confezionasse un piacevolissimo lavoro in cui emergono anche
influenze dylaniane (del periodo d’oro tra “Blonde On Blonde” e “Highway 61
Revisited”). Le sue sono canzoni pervase talvolta da malinconia e in altri casi
dalla gioia e dalla felicità, in un alternarsi di momenti che formano un
insieme attraente e godibile, sospeso spesso tra acustico ed elettrico, sempre
poeticamente rilevante. “I’ll Be Here, Mairead” colpisce per il suo incedere
tra country e blues, significativo per inquadrare le radici del suo suono, “Beauty
Seldom Seen” apre con una melodia eccellente, “Jailbreak” è ancora più
rockeggiante e dal sapore sixties, “In Such A Strange Town” è descrittiva e
meditativa, una ballata tra i momenti migliori dell’album, “Weekly Rate Palace”
è un rockin’ country trascinante che ricorda un po’ i Green On Red,
indimenticati alfieri dell’alternative country negli anni ottanta, “More Than
Moonlight” porta alla memoria le ballate degli Uncle Tupelo senza mai risultare
clone e con grande coinvolgimento, mentre ascoltando l’organo che introduce
“Goodbye Temporarily” non possiamo non ricordare quello di Al Kooper in “Like A
Rolling Stone”. “Far Cries And Close Calls” mostra un autore maturo e in gran
forma che svaria tra diversi ‘mood’ presentando sempre canzoni credibili e
genuine, nella migliore tradizione dello Stato che gli ha dato i natali. Da conoscere.
Remo Ricaldone
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