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Luke Bell - Luke Bell

Pubblicato da Remo Ricaldone |


Luke Bell è un honky tonker da mettere a fianco di Wayne Hancock, Dale Watson e di tutti coloro che portano ‘la fiamma’ della tradizione in questi anni in cui le majors si nutrono di pop, ‘bad rock with a fiddle’ e talent show. I classici suoni che hanno reso grandi personaggi come Dwight Yoakam con il quale ha più volte condiviso il palco e le aspirazioni, fanno parte del suo dna. Luke Bell è cresciuto in Wyoming formandosi tra country music e ballate western, trasferendosi con la maggiore età prima ad Austin dove ha suonato regolarmente nei piccoli club della capitale texana e poi a New Orleans, trovando infine spazio e opportunità nella parte più ispirata di Nashville dove ha inciso questo suo disco omonimo, in parte riprendendo canzoni da un suo album di un paio di anni fa. Le dieci canzoni che compongono questo suo ‘vero’ esordio scorrono con grande solidità e freschezza ispirandosi ad icone come George Jones, Merle Haggard e Buck Owens, riportando in vita quella country music che riesce a sopravvivere nella sua accezione più legata alle radici grazie ai nomi citati all’inizio, aggiungendo gente come Whitey Morgan, Jamey Johnson e J.P. Harris. L’apertura mostra le sue più chiare intenzioni con una “Sometimes” che potrebbe tranquillamente essere scambiata (a parte la voce, buona ma comunque ‘normale’) per una outtake di Dwight Yoakam, “All Blue” ha il piglio country & western più classico con un bell’intro di armonica, una steel che ammalia e i contrappunti di chitarra elettrica che rimandano alla memoria le cadenze del classico ‘Cash sound’ mentre “Where Ya Been?” è tersa e cristallina nella melodia e convincente nell’interpretazione, misurata e nostalgica. A seguire una selezione assolutamente godibile in cui scorrono la preziosa “Hold Me”, honky tonk song da manuale, l’acustica “Loretta”, un altro piccolo gioiellino, la travolgente “Working man’s Dream” con gustoso intermezzo yodel, “Glory And The Grace” guidata da un eccellente piano e da un’ironia che spesso traspare tra le righe del disco, i riferimenti western della bella “The Bullfighter”. Le conclusive “Ragtime Troubles” dove emergono le influenze del periodo ‘neworleansiano’ e “The Great Pretender”, ballatona d’effetto con il sapore dei ‘fifties’ sigillano un breve ma pregevole percorso sonoro che sperabilmente porterà nuovi fans e appassionati ad un nome veramente interessante
Remo Ricaldone

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