“Prisoner”
segna un momento importante nella vita di Ryan Adams, un capitolo personale ed
artistico di grande valenza per il prolifico musicista ex leader dei seminali
Whiskeytown. A tre anni dal suo precedente disco (omonimo) di brani originali,
“Prisoner” gioca subito le sue carte con una magistrale “Do You Still Love Me?”
che a mio parere è una delle sue migliori canzoni da parecchi anni a questa
parte ed è l’ideale anello di congiunzione con “Ryan Adams”. La title-track
“Prisoner” è più sciolta e rilassata grazie ad una melodia che affascina mentre
molte sono le composizioni che a livello tematico si legano al sofferto e
recente divorzio, da “Haunted House” a “To Be Without You”, fino a “Anything I
Say To You Now” e a “Broken Anyway”. Dal punto di vista della qualità delle
canzoni non ci sono grandi novità, il filo conduttore che dallo splendido
“Ashes & Fire” passa attraverso il citato album omonimo è lo stesso di
questo “Prisoner” e quindi ne ritroviamo le stesse ballate e midtempo tra rock
e radici che hanno reso grande l’artista di Jacksonville, North Carolina. Tra
Dylan e Springsteen si muovono molte delle canzoni di “Prisoner”, dalla
eccellente “Doomsday” introdotta da una bella armonica alla struggente “Shiver
And Shake”, scarna ed intensa, dando qualche volta l’impressione di un
(piacevole) ‘deja vu’ ma risultando con gli ascolti un lavoro corposo ed
ispirato. “Breakdown” è convincente nel suo alternare emozioni acustiche ad
intrecci chitarristici che sono ormai una peculiarità negli ultimi dischi di
Ryan Adams, “Outbound Train” segue ancora le tracce dello Springsteen più
introverso ed acustico, dando però forza ad una narrazione veramente solida. “Tightrope”
e “We Disappear” chiudono un po’ in sordina un disco comunque che conferma doti
e talento, magari non sorprendente come i suoi primi lavori ma che pone Ryan
Adams come ispiratore di tanti musicisti che mischiano rock e radici.
Remo Ricaldone
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