Ci
eravamo già occupati di Sam Baker alcuni anni fa celebrando uno dei grandi
autori texani, musicista e poeta i cui dischi sono veri gioielli di una
tradizione che nel Lone Star State ha visto Townes Van Zandt, Guy Clark e Terry
Allen raccontare luoghi e persone con estrema profondità e introspezione. Sam è
artista a tutto tondo, di non facilissima assimilazione al primo ascolto ma la
cui visione universale è tra le
più intelligenti e affascinanti. “Land Of doubt”
segue un disco fondamentale come “Say Grace”, considerato dal Rolling Stone uno
dei dieci migliori album country del 2013 e ripropone la stessa scarna
musicalità in cui country e folk (con
echi anche jazzy grazie alla tromba di Dan Mitchell) convivono splendidamente.
Neilson Hubbard siede alla consolle e intelligentemente non cambia registro al
suono di Sam Baker, continuando a rivestirne le storie di pochi strumenti ma
inseriti in modo impeccabile e perfetto, con l’immenso Will Kimbrough (già con
Rodney Crowell e Todd Snider, per citarne alcuni) alle chitarre elettriche ed
acustiche mentre gli archi di David Henry e Eamon McLoughlin aggiungono un
ulteriore tocco poetico. Ascoltando questo “Land Of Doubt” si viene trasportati
in un viaggio del cuore e della mente, ammaliati dall’eleganza degli arrangiamenti
e portati a scavare nel profondo dell’animo umano. Relazioni complicate e
sofferte terminate in modo inevitabilmente negativo, storie di veterani di
guerra e della loro profonda sofferenza, la lotta per sopravvivere di madri
single e l’umanità delle piccole storie, tutte con sullo sfondo il magnifico
scenario naturale del Sud Ovest, affollano queste canzoni, tutte meritevoli di
essere penetrate nel loro significato più recondito e vero. Da “Summer Wind”
che introduce l’album a “Land Of Doubt” che chiude il tutto (“Stars and
crosses/ crosses and stars/we meet at the border/with its beauty and its
scars…”), questo lavoro ha l’andamento dei migliori film o libri americani
degli ultimi tempi, naturalmente quelli più introspettivi ed interiori.
Rimarchevoli sono poi la cadenzata “Moses In The Reeds” composta a quattro mani
con Mary Gauthier che sembra uscita da “Lubbock On Everything” di Terry Allen
con cui condivide humor e sensibilità, “The Feast Of St. Valentine” e “Say The
Right Words” commoventi e fortemente coinvolgenti, la struggente “Peace Out”,
unite assieme da una serie di interludi strumentali che formano un unico,
eccellente racconto.
Remo Ricaldone
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