Kenny
White, pianista nato a New York ma cresciuto oltre il fiume Hudson nel New
Jersey, è uno di quei musicisti che non hanno mai raggiunto un significativo
successo a proprio nome ma hanno costruito con il lavoro di anni, attraverso
mille sessions, produzioni e dischi, un nome profondamente apprezzato dai
colleghi e da coloro che hanno avuto la fortuna di incontrare nel proprio
cammino. La base sulla quale Kenny White ha realizzato la sua musicalità è
quantomai ampia e diversificata e comprende canzone d’autore, jazz, pop, musica
da film e, per quello che maggiormente interessa a noi, i suoni delle radici,
resi personali da un’ottica lucida e priva di pregiudizi, sempre pronta ad
arricchirsi di nuovi stimoli e progetti. La partnership e il mutuo scambio di
esperienze con gente del calibro di Peter Wolf della J.Geils Band (a cui ha
prodotto tre dischi), Shawn Colvin, Shelby Lynne, Jonathan Edwards, Merle
Haggard, Neko Case e Steve Earle tra gli altri ha maturato in lui uno stile che
a volte può ricordare grandi pianisti (inevitabilmente, vista l’affinità
strumentale) come Marc Cohn, Bruce Hornsby o Randy Newman ma che è sempre
originale e profondo, talvolta ironico, sempre degno di nota. “Long List Of Priors”
arriva a distanza di sei anni dal precedente disco e si avvale di una notevole
serie di collaboratori, a partire dal grande chitarrista Duke Levine, dagli
ottimi tamburi dietro ai quali si siede l’esperto Shawn Pelton e dalle
‘ospitate’ di David Crosby, del citato Peter Wolf e di Amy Helm, figlia
dell’indimenticato Levon. La base pianistica delle canzoni di questo lungo e
godibilissimo album danno ancora più l’impressione di una forte coesione e
analogia, mostrando una notevole forma compositiva e un grande talento come
performer. Kenny White ci regala così una serie di canzoni dal significato
profondo, intense e toccanti, fin dall’introduttiva “A Road Less Traveled” con
ai cori David Crosby, il fiddle di Larry Campbell (straordinario
polistrumentista che qui presta i propri servigi al meglio della forma) e le
chitarre resofoniche e il mandolino di Duke Levine. Indimenticabili sono poi le
melodie che contraddistinguono e caratterizzano “Another Bell Unanswered”, con
ancora Duke Levine e Larry Campbell che si dividono sapientemente le chitarre
acustiche ed elettriche e il vecchio ‘Croz’ ad armonizzare la voce da par suo.
C’è spesso in queste canzoni il sapore forte e distinto del Sud, con tutti i
suoi contrasti cromatici, grazie anche ad arrangiamenti fiatistici strepitosi e
a inflessioni gospel, come nella commovente ed orgogliosa “Charleston”, a
ricordare una delle più odiose stragi razziste degli ultimi anni. “Cyberspace”,
“The Other Shore”, “Glad-handed” (un gustoso duetto con Peter Wolf), la
solitaria esibizione pianistica di “The Moon Is Low”, una “West L.A.” che non
può non rimandare al caro vecchio Randy Newman, “4000 Reasons To Run” e “The
Olives & The Grapes” regaleranno emozioni intense a chi ama la scena
americana che incrocia la canzone d’autore e le radici.
Remo Ricaldone
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