Jim
Byrnes è un’icona in Canada dove ha trovato il terreno e l’atmosfera ideale per
proporre la propria visione di roots music, profondamente influenzata dagli
anni in cui viveva a St. Louis e ascoltava molta musica ‘nera’ tra blues, soul
e rock. “Long Hot Summer Days” è un disco forte ed orgoglioso, probabilmente il
disco definitivo per il sessantanovenne Byrnes ancora una volta affiancato alla
produzione e alle innumerevoli chitarre da Steve Dawson, partner ed amico da
anni. Un disco dalle forti connotazioni soul che però passano quasi in secondo
piano ampliando le influenze fino ad arrivare ad una roots music di classe e
infinito talento, con performance che colgono sempre nel segno e mostrano
quanto Jim Byrnes meriti di essere conosciuto più compiutamente, magari
cominciando da questo suo ultimo lavoro. Le influenze sono naturalmente
molteplici ma possiamo cominciare con una sontuosa versione di “The Shape I’m
In” della Band, qui rivisitata con personalità e grande carattere, con un
andamento un po’ ‘strascicato’ ma decisamente affascinante con l’armonica di
Steve Marriner e i cori ‘black’ semplicemente deliziosi. Bobby ‘Blue’ Bland è
stata un’altra influenza fondamentale per il nostro e la gospel-oriented “Ain’t
No Love In The Heart Of The City” si avvicina molto alle tonalità fluide e
morbide del grande cantante soul, “There Is Something On Your Mind” rimanda
all’amore per Van Morrison con un altro pezzo di bravura interpretativa
sorretto da un arrangiamento fiatistico misurato e pregevolissimo ed un ‘break’
chitarristico killer, “Deep Blue Sea” originale firmato da Jim Byrnes e Steve
Dawson mi ricorda le melodie soul di Southside Johnny e dei suoi Asbury Jukes,
cristallina melodia che ricorda i gloriosi anni del doo-wop. Tra le cover
invece spiccano una scura e misteriosa “Weak Brain, Narrow Mind” di Willie
Dixon, la convincente “Ninety Nine And A Half (Won’t Do)” composta dal trio
d’eccezione Eddie Floyd, Wilson Pickett e Steve Cropper e la ‘Allmaniana’
“Something Inside Me” di Elmore James. Da segnalare ancora l’acustica ed
essenziale “Anywhere The Wind Blows” che ci trasporta negli anni della Great
Depression e la sofferta e vissuta “Long Hot Summer Days” che chiude il sipario
su un disco che si ricorderà a lungo e può essere l’ideale porta d’ingresso per
conoscere un musicista dalle qualità indiscutibili.
Remo Ricaldone
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