Rod
Picott è una delle più belle voci del cantautorato americano legato alle
radici, un musicista che ha intrapreso relativamente tardi la sua carriera ma
che l’ha impreziosita attraverso diciassette anni e nove album con storie
estremamente efficaci e profonde, caratterizzate da una innata capacità di
fotografare la vita e le emozioni ‘blue collar’ di personaggi le cui gioie e i dolori, le piccole vittorie e le amare sconfitte sono patrimonio comune di vite
altrettanto comuni. L’intensità con la quale Rod Picott ha affrontato questi
racconti, il suo occhio partecipe ed empatico nei confronti dei protagonisti,
il suo essere così dettagliato e insieme poetico ha giocato sempre un ruolo
vincente in una serie di dischi che sono da ricordare per misura ed intensità.
“Stray Dogs”, “Girl From Arkansas”, la collaborazione con Amanda Shires in un
insieme di mirabili duetti, “Welding Burns”, “Hang Your Hopes On A Crooked
Nail” e il più recente “Fortune” pubblicato tre anni fa circa, sono solo alcuni
titoli di un viaggio impeccabile ed ineccepibile che ora si arricchisce di un
poderoso doppio album intitolato “Out Past The Wires” le cui ventidue nuove
canzoni determinano la summa e la maturazione di un vero poeta che ha
contemporaneamente messo alle stampe un suo libro di piccoli racconti e poesie
che approfondiscono i personaggi di questi brani. La produzione è quella
sapiente di Neilson Hubbard (impegnato in questo periodo anche come membro
degli Orphan Brigade) che con l’eccellente Will Kimbrough alle chitarre, Lex
Price al basso (acustico ed elettrico), Kris Donegan alle chitarre e Evan
Hutchings alla batteria gioca un ruolo fondamentale nel ‘dare un suono’ corposo
e al tempo stesso intimo alle composizioni di Rod Picott, dalle ballate ai
midtempo ai momenti più rock. Il lavoro di scrittura è naturalmente ed
inevitabilmente impegnativo ed ambizioso, non un vero concept album ma con
denominatore comune la voglia di narrare la vita di provincia e i suoi
protagonisti, a partire da una “Be My Mollie” che ricorda, specialmente quando
entra in campo l’armonica, le atmosfere cupe ma affascinanti di “Nebraska” di
Bruce Springsteen. Sul primo disco spicca la cruda genuinità e schiettezza di
“Better Than I Did”, perfetto esempio della profonda amicizia che lega Rod
Picott ad un altro grande storyteller come Slaid Cleaves con cui vengono
firmate anche “Primer Gray”, “Fire Inside” e “Falling Down”, limpidi esempi di
grande canzone d’autore. “On The Way Down” è fresca e corroborante, “Blanket Of
Stars” struggente e accorata, “A Better Man” piccolo gioiello di equilibrio tra
country, rock e umori sudisti, “Coal” è un altro momento di notevole forza ed
ispirazione. Ancora da citare sul secondo disco ugualmente infarcito da canzoni
il cui impatto poetico e sonoro è più che ragguardevole, sono “Dead Reckoning”
ballata superba, “Store Bought” e “Hard Luck Baby” solide e (roots) rock, “Medicine
Man” che non sfigurerebbe assolutamente negli album acustici di Springsteen,
“Straight Job” asciutta ed incantevole e “Little Things” che chiude nella maniera
migliore, con le piccole/grandi emozioni che sa regalare Rod Picott.
Remo Ricaldone
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