“Blood
In The USA” è un disco la cui genesi ha aspetti particolari: registrato
praticamente in presa diretta nell’arco di una giornata, l’album è rimasto nel
cassetto per circa un paio d’anni, dando la precedenza alla vita privata di
Thom Chacon e ora ‘riemerge’ con tutta la sua forza espressiva e tutta la sua
urgenza letteraria, divenuto fortemente attuale soprattutto dopo questi anni di
politica negli States. Il musicista di Durango, Colorado torna quindi dopo lo
splendido disco omonimo di qualche anno fa e l’esordio prodotto artigianalmente
intitolato “Featherweight Fighter” che ne definiva stile e immagine di profondo
ed intelligente storyteller. “Blood In The USA” è nuovamente prodotto da Perry
Margouleff, amico di lunga data di Thom Chacon, con lo stesso approccio crudo
ma al tempo stesso struggentemente poetico che chiedono queste storie di
confine, queste storie di ricerca di libertà e di vita migliore. Tra Woody
Guthrie e Bob Dylan, Townes Van Zandt e John Prine ma anche con lo spirito
dello Springsteen più interiore ed intimista, Thom Chacon mostra attraverso
queste sue nuove nove canzoni quanto potente sia il suo messaggio e quanto
grande sia il suo coinvolgimento nei confronti dei protagonisti che si muovono
all’interno di un paesaggio spesso depresso e duro, affascinante nella sua
asprezza ma che non perdona chi sta dalla parte dei perdenti. “I Am An
Immigrant” è inevitabilmente il manifesto e l’ideale apertura del disco,
limpida e disperata storia narrata attraverso chi ha subito violenze e soprusi
sulla strada verso un mondo migliore, mentre in “Union Town” emerge la crisi
del lavoro dopo la chiusura delle miniere di carbone e nella title-track “Blood
In The USA” il grido di denuncia nei confronti dei troppi casi di violenze nei
confronti delle persone di colore. Questo trittico forma un po’ la spina
dorsale di un album sempre impegnato, sempre estremamente vibrante nel
presentare composizioni il cui compito è di mostrare i vari aspetti dell’animo
umano, positivi o negativi che siano, dalla accorata poesia di “Easy Heart”
all’amore narrato in “Something The Heart Can Only Know”, praticamente l’unica
‘love song’ del disco. “Empty Pockets” è un altro dei capolavori delll’album,
un altro racconto di immigrati e dell’affrontare i cambi climatici che determinano
la crisi del lavoro dei contadini, “A Bottle, Two Guitars And A Suitcase” una
pregevolissima ‘road song’ narrata con il consueto, eccellente stile narrativo,
“Work At Hand” una canzone che ha sempre come protagonisti i cosiddetti ‘blue
collar’ e la commovente poesia insita nella conclusiva “Big As The Moon”, il
cuore grande come la luna, come quello di Thom Chacon.
Remo Ricaldone
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