Mike
Harmeier e i suoi Moonpies arrivano al quinto disco in studio in eccellente
stato di forma confermandosi splendida realtà della scena di Austin (loro
suonano regolarmente al Broken Spoke, al Hole in the Wall e al White Horse
Saloon) e tra le migliori band in terra texana. Il loro è un suono scintillante
in cui la country music del Lone Star State assume, grazie alle magnifiche chitarre
elettriche del leader e di Catlin Rutherford e alle tastiere di John Carbone,
connotazioni ‘southern’ e a volte ricorda i migliori episodi dell’età d’oro del
country-rock come il corposo sound dei Pure Prairie League e degli Outlaws
(quelli di Hughie Thomasson, per interderci). Inciso negli studi Yellow Dog di
Wimberley, Texas sotto la supervisione dell’esperto Adam Odor, “Steak Night At
The Prairie Rose” è album brillante, con il grosso lavoro compositivo di Mike
Harmeier che paga e risulta convincente in una sequenza notevole di honky tonk,
country music di stampo tradizionale e anche di sensibilità ‘classic rock’,
emozionando e risultando sempre coinvolgente. “Roadcrew” travolge subito
l’ascoltatore con passione e ritmo, classe e talento, le chitarre elettriche
che si incrociano e duettano alla grande, la sezione ritmica (Preston Rhone al
basso e Kyle Ponder alla batteria) rocciosa e solida e le tastiere sempre
dietro a fornire un tocco in più, “Might Be Wrong” è sciolta e tremendamente
godibile con i suoi profumi sudisti e il break pianistico di John Carbone
semplicemente trascinante. La title-track “Steak Night At The Prairie Rose”
smorza un po’ i toni rimanendo efficace per melodia e per la suadente pedal
steel nelle mani di Zachary Moulton, una ballata cadenzata di gran classe,
“Gettin’ High At Home” unisce ancora nella maniera migliore country music e
inflessioni ‘southern rock’ con la pedal steel protagonista e una grintosa
performance vocale di Mike Harmeier mentre “The Last Time”, introdotta dal bel
piano elettrico di John Carbone ha il fascino senza tempo dei ‘seventies’. La
seconda parte dell’album si apre con la poetica di “Beaches Of Biloxi” a creare
una splendida atmosfera, “Things Ain’t Like They Used To Be” ha il sapore
gustoso di certo rock anni sessanta forse anche per l’uso del ‘wah wah’ e per
l’approccio energico, “The Worst Thing” ha dalla sua la magica armonica di
Mickey Raphael che nobilita una ballata sontuosa, mentre le conclusive “Wedding
Band” e “We’re Gone” mantengono alto il livello complessivo grazie ad una
country music sempre genuina e autenticamente texana, qualità che Mike e i suoi
Moonpies hanno sempre presentato e di cui ora sono tra i più validi
portabandiera.
Remo Ricaldone
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