Mai
titolo fu più indicato per indicare passioni, inclinazioni e smisurato amore
per quei suoni che sono ricollegabili a quelli ascoltati nei locali citati. E
dalle parti di Sean Burns, canadese del Manitoba al quarto disco, sicuramente
l’ombra e lo spirito dei vari Merle Haggard, Buck Owens, Johnny Cash ma anche
Bruce Springsteen, John Prine ed Elvis Presley è vivo e vibrante come nelle
canzoni che compongono questo “Music For Taverns, Bars And Honky Tonks”. Un
album questo che ci porta in territori genuinamente country con alcune puntate
nel più classico e nobile rock americano in un’alternanza intelligente di
momenti travolgenti e di pause struggenti e suggestive. Inciso nelle sue parti
‘base’ in Canada ma mixato in quel di Nashville con i contributi di Chris
Scruggs alla steel e Harry Stinson alle armonie vocali, questa ottima selezione
si avvale della mano sicura di Sean Burns (sue le parti vocali soliste, la
chitarra acustica e l’armonica) supportato dalla batteria di Joanna Miller, dal
basso di Bernie Thiessen e dalle chitarre di Grant Siemens che formano la sua
attuale band di accompagnamento, i Lost Country. “Have You Seen That Train”
introduce splendidamente questo lavoro con una classica ‘train song’ dalla performance solida e
sicura, mentre citando i momenti uptempo “Big Freightliner” è eccellente e
personalmente mi ricorda i migliori Derailers con un perfetto ‘Texas feeling’,
“Don’t Let Highway Get You Lost” mischia rock e radici alla maniera del primo
Steve Earle o dei Long Ryders, “Lonesome Again” è scintillante country music a
metà strada tra Bakersfield ed il Lone Star State, “Sturdy Woman” aggiunge un
pizzico di blues ad un rock di qualità dimostrando la versatilità di Sean
Burns, “Don’t Play With Fire” è inequivocabilmente legata all’Elvis degli anni
sessanta (ma anche a certe cose dei Mavericks di Raul Malo) e a sonorità un po’
‘latin’, gustosa e divertente, “One More Kick At The Can” porta ancora in primo
piano il rock (e anche il blues grazie alla bella armonica di Sean Burns) e la
canzone scorre benissimo con una grande dose di grinta e trasporto, “Harold’s
Super Service” aggiunge alla country music un pizzico di bluegrass e si pone
come uno dei momenti più godibili. Le ballate, non moltissime per la verità, sono
sempre misurate e mai zuccherose, a partire dalla sontuosa “I Wish Things Were
Different” che mi ricorda il mai troppo compianto Roy Orbison e chiude in
maniera perfetta il disco, con “Farewell Parties” incantevole e struggente e
“My Old Self” salda country song, a mostrare quanto l’artista canadese meriti
tutta l’attenzioni degli appassionati.
Remo Ricaldone
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