Non
è facile ripetere un esordio di grande intensità e profondità come era
“Golden”, l’inizio di una promettente carriera discografica per il canadese Ben
Kunder e “Better Human”, secondo album in uscita a settembre 2018, rileva una
leggera involuzione nella musica, pur regalandoci una manciata di buone
canzoni. Tra Israel Nash e Ray LaMontagne, in bilico tra un evocativa canzone
d’autore e inflessioni pop, Ben Kunder ripete certe insicurezze che hanno
caratterizzato gli ultimi lavori dei musicisti citati con qualche ‘balbettio’
negli arrangiamenti (soprattutto nei primi due brani l’uso di tastiere
elettroniche che appesantiscono melodie peraltro non male), con una crescita
mano a mano che l’album si sviluppa attraverso ballate e midtempo di
interessante fattura. La voce è sempre una delle peculiarità migliori, calda,
modulata ed intensa, con interpretazioni che mostrano una sensibilità non
comune e uno sguardo al mondo e alle sue contraddizioni intelligente e
profondo. Le tonalità country del debutto sono quasi assenti ma è con la terza
canzone del disco, una “Better Days” empatica e brillante, che “Better Human”
si risolleva e risale un po’ la china grazie ad una produzione che finalmente riesce
a far esprimere tutta la poetica di Ben Kunder. Aaron Goldstein che già aveva
contribuito alla piena riuscita del primo disco di Ben e qui nei panni del
produttore, dimostra una volta di più che la semplicità e la linearità dei
suoni sono la carta vincente, soprattutto quando si parla di roots music ed in
effetti i momenti migliori sono una docile “Hard Line” con echi ‘younghiani’, “I
Will Be Your Arms” dove emergono tonalità country molto apprezzate, “Lay Down”
che ha il sapore di certe cose della Band, un trittico che vale l’intero cd. Da
ricordare e sottolineare l’intimismo di una acustica “Come On” veramente
deliziosa e la conclusiva “Night Sky”, ancora una ballata da incorniciare in un
seconda parte del disco che migliora il giudizio pur rimanendo una buona spanna
sotto il suo predecessore.
Remo Ricaldone
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