Per
chi segue le ‘pagine’ di Lone Star Time non è mistero che la scena musicale tra
Texas ed Oklahoma rappresenti una vera e propria fucina di talenti e un polo di
attrazione tra i più vibranti dell’intero panorama statunitense. Sono talmente
tanti gli artisti degni di nota che spesso si scoprono o si rivalutano
personaggi dalla carriera già ampiamente rodata e dalla notevole ‘fan base’
seppur a livello regionale. Non sfugge a questa regola Eric Hisaw, cantante,
chitarrista ed autore nativo del New Mexico ma ormai da considerarsi un texano
a tutti gli effetti, capace di condensare le migliore tradizione rock con le
radici texane tra country music e canzone d’autore. Eric ha al suo attivo una
manciata di dischi che hanno sempre confermato la bontà di una proposta
essenziale e sagace, con interpretazioni rimarchevoli, tra le migliori che il
Texas abbia sfornato in questi anni. Era da alcuni anni che Mr. Hisaw non
pubblicava un nuovo disco e “Street Lamp” colma alla perfezione questo vuoto
grazie ad una selezione ancora una volta eccellente. L’album è inciso nel Texas
più rurale, a Boerne, poco più di diecimila abitanti nella magnifica Hill
Country, sotto la produzione di Shawn Sahm, figlio del leggendario Doug e
protagonista di queste sessions alle tastiere. Alla fisarmonica c’è Josh Baca
dei Los Texmaniacs mentre la sezione ritmica è nelle mani della coppia Nela
Walker e Jimmy Wilner, rispettivamente a basso e batteria. Sette sono gli
originali e una cover a mostrare i vari ‘stati d’animo’ di Eric Hisaw con “Hurry
It Up”, godibilmente rock, ad aprire la selezione. Tra gli Stones e i Blasters
“Hurry It Up” è incisiva ed essenziale, chitarristica e trascinante, seguita
subito dopo da una title-track pervasa da un’aura di romanticismo veramente
vincente, una canzone ispirata arricchita da una fisa che ci porta vicino al
border. “Clouds” rimanda ai Los Lobos degli esordi con una melodia che denota
l’eccellente stato di forma di Eric Hisaw, evocativa e stimolante, “Desert Sun”
è una ballata che ricorda ancora gli Stones, quelli di “Exile” o di “Sticky
Fingers”, un altro punto di riferimento del disco. “Little Piece” rivitalizza
certo rock anni sessanta con il suo stile stringato ed efficace, “So Close” è
un soffio affascinante di Messico, un bolero presentato con intatto amore per
quei suoni e un Josh Baca che ammalia con i suoi interventi all’accordion. A
chiudere una “Reservation Radio” pregna di grande country music, una ballata di
peso citando il grande Merle Haggard e, unica cover come detto, “Revolutionary Ways”
firmata da Doug Sahm e da lui incisa negli anni settanta, un travolgente rock
che congeda nella maniera migliore un album breve, intenso, stringato, vitale. Alla prossima,
Eric!
Remo Ricaldone
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