David
Olney è un poeta, un veterano di mille session, un ‘musician’s musician’ come
dicono negli States, un artista la cui trentennale carriera ha forse ricambiato
poco in termini di successo commerciale David Olney ma che lo ha visto
rivestire il ruolo di padre putativo della Nashville più creativa e dinamica. I
suoi sono dischi meditati e vissuti, le sue canzoni ricche di significato e di
passione, la sua musicalità gli è valsa paragoni con gente come Johnny Cash,
Tom Waits e Guy Clark. “This Side Of The Other” è un altro importante tassello
di una carriera intensa e preziosa e vede la produzione nelle mani dell’esperto
Steve Dawson che affianca lo stesso Olney in un lavoro artigianale curato nei
minimi dettagli senza perdere in spontaneità. Il tema ricorrente di queste
canzoni sono i muri, fisici e a volte mentali, l’accoglienza e la migrazione in
tempi in cui questi argomenti sono di strettissima e drammatica realtà. Cosa
vuol dire nascere da una parte o dall’altra di un muro, cosa comporta trovarsi
di fronte ad esso durante il duro viaggio alla ricerca di una condizione
migliore: sono queste ed altre le domande a cui David Olney cerca di rispondere
con queste splendide canzoni pervase di country music, di folk, di una canzone
d’autore mai così lucida e impegnata come nella migliore tradizione. A queste
registrazioni partecipano grandi come Charlie McCoy, armonicista
extraordinaire, le sorelle McCrary, tra le portavoci della più sincera
tradizione del sud, Fats Kaplin alla fisarmonica e al oud, strumento a corda di
origine araba, Anne McCue alle armonie vocali e allo stesso Steve Dawson a
chitarre, pedal steel, mandolino e wurlitzer tra gli altri. Nove piccoli
gioiellini e una cover, la sorprendente versione di “She’s Not There” degli
Zombies di Rod Argent, che sono uniti da un filo rosso, tematico e musicale, di
grande efficacia ed ispirazione a partire dalla significativa “Always The
Stranger” che subito entra nel ‘mood’ dell’album con un bel ‘train time’ a la
Johnny Cash, lo splendido fiddle di Ward Stout che segna la melodia e
l’armonica di Mr. McCoy da pelle d’oca. “Wall” lo avvicina come suoni ad alcune
cose di Tom Waits, ritmica originale, interpretazione sofferta e il piano
wurlitzer di Steve Dawson che fornisce nuances jazzy, “Border Town” è già dal
titolo storia di ‘immigrants & refugees’ con inevitabili colorazioni
messicane e una eccellente chitarra acustica nelle mani di Steve Dawson. “I
Spy” prosegue nelle storie di confine, in bilico tra due mondi, tra due
culture, “Running From Love” è commovente e accorata, una canzone dalla solida
ritmica e dagli interventi di fiddle e armonica ancora una volta strepitosi, “This
Side Or The Other” è invece un country waltz che sa di classico, una canzone
che coinvolge per dolcezza e poesia mentre “Death Will Not Divide Us” è ancora
country music nel senso più genuino del termine, solida e impegnata. Così come
nelle due canzoni precedenti la pedal steel è protagonista di “Open Your Heart
(And Let Me In)”, soffice e aggraziata con le sorelle McCrary a dare quel tocco
in più e “Stand Tall” ha qualcosa di Kris Kristofferson nel dna e quel sapore
di country music d’autore tipico degli anni settanta, preludio alla già citata
“She’s Not There” che congeda un grande artista che merita di essere apprezzato
in maniera più ampia.
Remo Ricaldone
0 commenti:
Posta un commento