Australiana
ma residente a Nashville, Katie Cole è una delle più promettenti nuove voci femminili
di quella scena, capace di sorprendere per intensità e calore ma anche
talentuosa come autrice grazie a notevoli capacità descrittive ed intensità
nelle emozioni. Scoperta dal produttore Howard Willing, già con Sheryl Crow e
Glen Campbell, Katie ha saputo subito catturare lo spirito ‘americana’
inserendo nel suo stile country music ma anche colorazioni gospel ed un pizzico
di pop che non ha spostato equilibri perfetti nelle sue canzoni. Una
discografia ancora parca quella di Miss Cole che comprende un paio di ep ed un
album intitolato “Lay It All Down” che ha visto un prezioso ‘cammeo’ di Kris
Kristofferson ed ora un altro ‘lavoro breve’ (cinque canzoni ma tutte
decisamente intriganti) che la proietta ulteriormente tra le figure di maggior
spessore del genere, sulla scia della bravissima Patty Griffin alla quale la
possiamo tranquillamente paragonare. “Broke” introduce il disco con il banjo di
Ilya Toshinsky (chi si ricorda il gruppo russo dei Bering Strait che per breve
tempo fece parlare di se nella Nashville di qualche anno fa?) che caratterizza
una ballata di grande presa e fascino, seguita subito dopo da “All My Winters”,
evocativa ‘folk song’ acustica interpretata con un’intensità non comune ed
attraversata da una chitarra elettrica magnifica per gusto e poetica. “Rest In
Pieces” è la conferma delle doti compositive di Katie Cole, della grazia con
cui ‘maneggia’ le canzoni e del cuore che ci mette in ogni nota. Un altro
gioiellino da ricordare come la seguente “Graceland”, pervasa da inflessioni
gospel, una storia in cui nostalgia e ricordi sono in primo piano. A chiudere
questo ep c’è poi “Time On My Hands” in cui le emozioni acustiche raggiungono
l’apice, tra la citata Patty Griffin e la migliore Lee Ann Womack. Disco molto,
molto interessante che speriamo presto venga seguito da una seconda parte, in
attesa di un altro album ‘full length’.
Remo Ricaldone
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