Bob
Rea è un validissimo singer-songwriter con base a Nashville ma cresciuto nella
fattoria di famiglia nel Colorado sudoccidentale, appassionatissimo di canzone
country e folk ma per forza maggiore, per molto tempo, obbligato a coltivare il
suo amore per la musica a tempo parziale. Bob è fatto della stessa pasta di gente
come John Prine, Guy Clark e Steve Earle con cui condivide suoni e liriche
legate alle radici e ad aspetti autobiografici, mostrando al tempo stesso
grande personalità e originalità, trasposte su disco con risultati più che
buoni. “Southbound”, il suo più recente lavoro, è un disco di grande equilibrio
in cui spesso appaiono inflessioni bluegrass ed il livello complessivo delle
canzoni è molto alto, prodotto con
sapienza da Steve Daly (chitarre acustiche ed elettriche e banjo), figlio
dell’eccellente steel guitarist Mike Daly tra i protagonisti più importanti di
queste registrazioni, capace di sottolineare senza strafare melodie che avevano
‘solo’ bisogno di essere evidenziate con colorazioni pastello. Il basso di Dan
Eubanks della band bluegrass Special Consensous, le tastiere e la fisarmonica
di Michael Webb, già con le ultime ‘impersonificazioni’ dei Poco e il mandolino
di Jeremy Holt sono ulteriori punti a favore di un suono piacevole e molto
soddisfacente. “Southbound”, la canzone che dà il titolo alla raccolta, coglie
subito nel segno con un bel ritmo e dobro, banjo e mandolino a rimarcare la
vicinanza alla tradizione, “Soldier On” (con il bel riff di banjo che
accompagna tutta la canzone) e “Vietnam” sono poi tra i brani più accorati del
disco, frutto di esperienze vissute in prima persona e trasposti con notevole
passione. “The Highway Never Cries” è appena più rock, “Screw Cincinnati”
rimanda a certe canzoni di John Prine con inossidabile amore per la country
music, “Whisper Of An Angel” ‘gioca’ ancora con le emozioni in una ballata
midtempo di gran classe mentre “The Law” affonda le proprie radici nel profondo
sud, tra paludi e fitti boschi. Ancora da ricordare sono le chitarre limpide e
cristalline, molto ‘sixties’, di “Wanna Do”, tra i momenti più vicini a certo
(roots)rock, i toni quasi ‘mexican’ di “Fish Can’t Fly”, divertentissima, e la
chiusura di “A Place In Your Heart”, ballata un po’ più ‘ordinaria’ ma sempre
di valore, come tutto il disco che conferma la bontà di un personaggio come Bob
Rea.
Remo Ricaldone
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