Tra i migliori esponenti della scena roots europea, Buford Pope (all’anagrafe
Mikael Liljeborg da Gotland, Svezia) ha saputo condensare nei suoi otto dischi
tutta l’intensità interpretativa della sua vocalità roca ed espressiva e suoni
il cui spettro passa dal rock a ballate scarne e scheletriche. Questo suo
nuovo “The Waiting Game” è un lavoro più riflessivo dei precedenti, ricco di
sfumature da puro storyteller, magicamente prodotto dallo stesso musicista
svedese. Un disco che cresce enormemente con gli ascolti e che sa cogliere
l’essenza del folk-rock come nella sciolta “Hard Life” che ha come protagonista
il mandolino di Joakim Petterson, sfiorare ed accarezzare il cuore in “Stoned”,
rivolgersi con amore ma anche con sguardo disincantato al suo ‘Paese dei sogni’
in “America”, imbracciare un banjo e scioglierci con una splendida ballata
dalle coordinate autentiche e genuine in “First Blood”. Spesso le canzoni sono
il ponte tra folk e rock, mostrando una credibilità ed un animo sensibile che
lo può avvicinare talvolta al miglior Mike Scott dei Waterboys, in altri
momenti al Dirk Hamilton più ispirato, specialmente quando le atmosfere virano
verso toni più americani. Irresistibili sono poi certe ballate ‘sospese’,
vissute in prima persona senza filtri come nella eccellente “Can I Be There For
You” ed in “Tell Me What I Am” dove i rapporti interpersonali sono
straordinariamente veri. Ancora da ricordare una “A Hundred” dove i toni si
fanno più neri ed ‘abrasivi’ sulla scorta del più profondo blues sudista, la
nostalgia commovente nella pianistica “In My Hometown” e nuovamente il piano di
Johan Carlgren protagonista della chiusura affidata a “Ninety-Nine”. Album di
ottima qualità, compositiva e interpretativa, e personaggio che vale veramente
la pena di conoscere.
Remo Ricaldone
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