Quindici
anni di attività, una manciata di ottimi dischi che, a partire dall’esordio
prodotto a Ray Wylie Hubbard, hanno contribuito a ridefinire la Texas Music
degli anni duemila e ora un nuovo album che segue di quattro anni il bel “Live
At The White Elephant Saloon” che confermava la bontà anche dal vivo del
progetto Lost Immigrants. James Dunning è sempre saldamente al timone ed è a
mio parere una delle migliori ‘penne’ del Lone Star State, qui spesso
affiancato nella scrittura da nomi non molto noti ma con un risultato
decisamente positivo. “Californium” infatti è un album di qualità, dinamico,
interpretato con grande trasporto da una band guidata con mano salda dalla voce
di James Dunning ma che al suo interno contiene una buona dose di talento e di
calore, con le tastiere di Ryan Pool, le chitarre di Blake Brownlee e la
sezione ritmica formata da Chad Stewart alla batteria e da Eric McGinnis al
basso a formare un solido background strumentale. Inciso nell’area di
Dallas/Fort Worth, “Californium” dimostra che gli anni non sono passati invano,
denso com’è di suoni elettro-acustici che si pongono via via tra rock e radici
nella migliore tradizione texana. Canzoni che si prestano ad essere cavalli di
battaglia anche in concerto, come “Home” dal contagioso refrain, l’iniziale
“Heartache & Lithium” che spazza subito via la ‘ruggine’ di qualche anno di
silenzio discografico, “My Last Name” che non ha niente da invidiare ai
migliori nomi sulla piazza tra Oklahoma e Texas, “Can’t Make Mexico”, “Doubts
On Me” altra canzone cantata con il cuore in mano, “All Your Own” dalla
deliziosa aura ‘outlaw’, “Gone” intensa e vigorosa e “Lost Angeles”, eccellente
ballata pianistica che commuove per trasporto e coinvolgimento. “Californium”
copre nel migliore dei modi un’assenza discografica che iniziava ad essere
lunga e porta giustamente alla ribalta una band da conoscere.
Remo Ricaldone
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