Terzo
disco per la band californiana guidata da Josef McManus che conferma quanto di
buono si era detto del precedente disco (nell’archivio di Lone Star Time
potrete trovare le nostre impressioni), quel “Naked And Falling” che li aveva
fatti conoscere al di fuori della Bay Area. “Existential Frontiers” mostra un
ulteriore lucidità compositiva e una maggiore capacità di assemblare le
svariate influenze della band che attingono dall’alternative country nato negli
anni ottanta (Green On Red e Uncle Tupelo su tutti) accostando rock (tra le
prime passioni del leader ci furono i Nirvana e tutto il movimento grunge) e
radici con sagacia e scaltrezza. Un album questo lungo ed articolato che si
aggira attorno all’ora di durata ma che non stanca e anzi si pone come una
delle più interessanti uscite in quel panorama indipendente che negli States
propone le cose migliori sul mercato. In attività dagli inizi degli anni
duemila, i White Owl Red propongono uno stile sempre lucido e autentico, senza
fronzoli o ‘giochini’ di studio, in un’altalena di suoni che a volte si
avvicinano maggiormente alla tradizione come in “Good Morning Moonshine”,
accattivante per i suoi suoni acustici e countreggianti, altre volte
grintosamente rock’n’roll come ad esempio nella seguente “I’m A Saint”. Tra
questi due estremi si gioca tutta la partita di Josef McManus e dei suoi White
Owl Red (Kyle Caprista alla batteria, già con Chuck Prophet tra gli altri e
questa non è una sorpresa, Gawain Mathews alle chitarre, in precedenza con la
band dell’ex Grateful Dead Mickey Hart e Leah Tysee alle voci), rimanendo
sempre godibile e più che soddisfacente. “Everything But Cryin’”, “More More
More”, “Set Free”, “Union Fight Song” e “Take A Good Look” sono a mio parere i
momenti migliori di un disco da ascoltare in un fiato, tale è la coesione di un
insieme a cui prestare molta attenzione. Coloro che amano le connessioni tra rock e
radici troveranno molti motivi per apprezzare questo lavoro.
Remo Ricaldone
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