23:23

Andrew Hawkey - Long Story Short

Pubblicato da Remo Ricaldone |


Andrew Hawkey è il classico musicista che ha passato la sua carriera ‘sottotraccia’ esibendosi nei piccoli club senza mai agganciare il treno della fama preferendo una vita fatta di emozioni ‘ordinarie’ ma non per questo meno vissute. Nato in Cornovaglia ben settantasette anni fa, Andrew Hawkey ha trascorso anni nell’Inghilterra rurale prima di trasferirsi nella ‘swinging’ London degli anni sessanta e per lungo tempo nel Galles dove attualmente risiede. La sua visione musicale è sempre stata legata ai suoni americani, folk, blues e country e tutto questo è racchiuso in questo suo album intitolato “Long Story Short”, una sorta di riassunto delle sue radici, un interessante percorso tra ballate folk, fascinazioni country e quel pizzico di blues/soul a rendere vario il suo repertorio, basato essenzialmente su ballate descrittive e delicate. A me ha subito ricordato il cantautorato country di personaggi come Bill Staines e Chuck Pyle con quello stile discorsivo e quieto che è stata la caratteristica peculiare anche di ottimi songwriters inglesi come Allan Taylor e Ralph McTell ai quali Mr. Hawkey sembra aver preso ispirazione. “Long Story Short” è prodotto con intelligenza dallo stesso Andrew Howkey con la collaborazione di Clovis Phillips, personaggio dal nome poco noto ma dal curriculum ricchissimo per i suoi legami artistici con gente del calibro di Gail Davies e Jeb Loy Nichols del quale gruppo fa attualmente parte. Scelta ovvia è stata quella di vestire queste canzoni di un arrangiamento elettro-acustico che non sovrastasse la voce del protagonista, non particolarmente potente ma giusta per i suoni proposti, e la presenza di un bel tappeto di chitarre e dell’aggiunta di volta in volta di pedal steel, banjo e armonica è risultata vincente. La colloquiale “Dear Friend”, la più vivace “Golden Heart (On A  Rusty Chain)”, il brano con maggiori legami con la country music, la cristallina “A Little More” che rimanda al Christy Moore più intimo e romantico, la bella e profonda “The Believer”, le godibili inflessioni soul di “Jones On Me” e la title-track, pianistica, che chiude nel migliore dei modi il disco, sono il filo conduttore di una selezione che cresce con gli ascolti riservando momenti di riflessione e di piacevolezza.
Remo Ricaldone

0 commenti:

Posta un commento

Iscriviti alla newsletter