Portland,
Maine non è certo al centro delle attenzioni degli amanti della musica ma è una
delle molte città americane la cui scena artistica vive di tante belle realtà e
di ‘segreti’ da scoprire. Assieme alla band dei fratelli Mallett i Gunther
Brown si pongono tra le migliori proposte del panorama alt-country e americana
e questo loro terzo album intitolato “Heartache & Roses” mostra quanta
vitalità, passione, carica umana possieda il sestetto guidato da Pete Dubuc,
frontman solido e ispirato. Dal 2014 i Gunther Brown hanno portato, sui palchi
del nordest soprattutto, la loro trascinante miscela di rock e radici
corroborata da una scrittura importante e da ottime doti strumentali, capaci di
risultare delicati e rocciosi, poetici e orgogliosamente travolgenti. La via
tracciata negli anni da band come Uncle Tupelo, Jayhawks e Old 97’s ha fatto da
battistrada a questi ‘ragazzi’ il cui piglio risulta sempre credibile ed
autenticamente sincero. Oltre al leader la band comprende altre due chitarre,
quelle di Mark McDonough e di Greg Klein, giunto alla corte dei Gunther Brown
da un’altra band di Portland, i Dark Hollow Bottling Company, le tastiere,
l’armonica e le chitarre di Joe Bloom Anderson e la sezione ritmica che vede
Drew Wyman al basso e Derek Mills alla batteria in un insieme affiatato e dal
punto di vista compositivo assolutamente democratico visto che le canzoni sono
composte con sforzo spesso collettivo. Dalle tonalità country dell’introduttiva
“New Man” si dipana una selezione che alterna rock e ballate tinte di roots,
tutte estremamente godibili, logicamente derivative ma ricche di fascino. Non è
facile estrarre un momento da sottolineare, l’album è caratterizzato da grande
coesione e spirito condiviso, interpretato con grande attenzione pur mantenendo
quell’aspetto ‘rustico’ e genuino. Una bellissima sorpresa quella dei Gunther
Brown e un nuovo nome da affiancare a quelli citati. Conferma della grande
vitalità della scena ‘indie’ della sconfinata provincia americana.
Remo Ricaldone
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