Di lui non si sa molto, canadese dell’Alberta, musicista profondamente legato alle radici dei suoni americani, visionario, poliedrico, talentuoso. Jason Reid Ravensky ha costruito un doppio album ricco, importante, certamente un viaggio nelle pieghe del folk, della country music, della canzone d’autore, del rock che appaga per varietà di temi e di sensazioni. “I Can’t Take The Darkness Anymore” è un lavoro in cui si trova l’anima ed il cuore di un talento libero da etichette e da costrizioni, poetico ed estremamente godibile fin dalle prime note affidate a una “Further Down The Road” che apre un libro le cui pagine si affidano al suo amore per la natura, per la musica, per la poesia, con il fiddle ed il banjo che si librano sulle ali di un suono emozionante per intensità. Spesso viene in mente la forza espressiva di Jake Smith, alias White Buffalo, per chiare affinità elettive e nel primo di questi due dischi le connessioni emergono chiare. Il blues e i suoni sudisti fanno capolino nella seguente “A Very Dangerous Stash” per poi lasciare campo libero alla splendida “The Hologram Zoo”, tra i punti più alti della poetica di Jason Reid, tra country e folk, alle suggestioni latine di “A Henry Miller Romance”, a una “Amy ( A Little More Time)” che rimanda nuovamente al ‘Bufalo Bianco’ per coinvolgimento e vitalità e a “Broken Down” dove la melodia attraversa l’oceano e si avvicina all’Irlanda (come nella gustosa “I Do Believe”) per poi accendere emozioni ‘native’. Il secondo disco si apre con una roca e ‘waitsiana’ “Old Uncle Louis” che ci porta a New Orleans con tutto il suo bagaglio di jazz, soul e rock e da citare sono ancora “Big Black Hole” che si avvicina ancora a Tom Waits per forti analogie stilistiche con le atmosfere di “Rain Dogs” o “Swordfishtrombones”, l’eterea “When You Can’t Let Go, Let Go”, i sapori tra country e cajun di “Oh Sam, The Everyman” in una interpretazione ancora di grande intensità cosi come nell’accorata “Shipwrecked” in cui la canzone folk è rappresentata all’ennesima potenza. “I Guess That We’ll Be Fine” mi ricorda il compianto e grande Greg Trooper mentre a chiudere questo ricco piatto di ben 25 canzoni c’è la pianistica “The Fading Away” che accarezza con estrema dolcezza. Disco consigliato caldamente.
Remo Ricaldone

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