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Son Of The Velvet Rat - Monkey Years #2

Pubblicato da Remo Ricaldone |


Sono anni ormai che Georg Altziebler e la compagna Heike Binder hanno lasciato la nativa Graz, Austria per trasferirsi nel deserto californiano del Mojave, nei dintorni di Joshua Tree, alla ricerca delle migliori condizioni ‘spirituali’ che potessero ispirare il loro talento artistico. Legati profondamente alla canzone d’autore sia europea che americana, da George Brassens a Townes Van Zandt, da Jacques Brel a Leonard Cohen, Son Of The Velvet Rat, il nome scelto per presentarsi agli appassionati, hanno percorso una strada molto scenografica ed evocativa piena di riferimenti e di stimoli che luoghi affascinanti come quelli in cui risiedono possono fornire. Folk, country ‘decostruito’ e ridotto all’osso, all’essenza primaria, riflessi ‘di confine’, profondi legami letterari sono alla base della loro proposta, presentata spesso con i panni di un ‘lo-fi’ che non fa che intrigare ulteriormente l’ascoltatore. “Monkey Years #2” è uno sguardo al passato, ad alcuni degli album proposti precedentemente, con l’aggiunta di un paio di inediti, tanto per stuzzicare i vecchi fans e ci fornisce le coordinate giuste per apprezzare una proposta estremamente attraente. “Mother Of Pearl” è il primo dei due nuovi brani, una country song essiccata al sole californiano con l’armonica che ammalia e le belle armonie di Heidi Binder a supportare il ‘front man’, mentre “Sirens” con i suoi riverberi e le atmosfere ‘dark’ rimanda al repertorio di Leonard Cohen e chiude l’album con le sue emozioni quasi sospese. Il resto del disco è comunque basato su tematiche simili in un’alternanza di melodie che si aprono e si chiudono come i fiori del deserto, dalle chitarre acustiche e l’armonica di “White Patch Of Canvas” che sarebbe piaciuto al Dylan di “Pat Garrett & Billy The Kid” o di “Desire” con quelle fascinazioni mexican godibilissime alla poetica “King Of Cool” in cui fa capolino una ispiratissima tromba e, prezioso cameo, Lucinda Williams con la quale Georg Altzieber ha incrociato i percorsi quasi casualmente. Sono molti gli spunti che queste canzoni portano con se, molte le immagini che evocano, molte le sensazioni che provocano in coloro che le ascoltano: tutte comunque hanno in comune l’amore per le radici del suono americano pur se in certi momenti filtrato dalla sensibilità e dalla cultura europea. Questo non fa che arricchire un lavoro prezioso e propositivo che merita di essere scoperto e goduto fino in fondo.
Remo Ricaldone

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