Prosegue
con grande ispirazione il viaggio musicale dell’austriaco Georg Altzliebler che
con la moglie Heike Binder è ormai da anni di casa nei dintorni di Joshua Tree,
nel deserto californiano, ‘nascondendosi’ dietro al moniker di Son Of The Velvet
Rat. Prendendo spunto da una canzone d’autore fortemente espressiva e poetica
figlia al tempo stesso degli chansonnier francesi e dei grandi storytellers
americani come Townes Van Zandt, Sam Baker e anche Terry Allen, Mr. Altzliebler
ha rivestito il proprio suono affidandosi ad un minimalismo desertico che
predilige l’essenziale ma che non vuol dire scarno o povero, mostrando un
ottimo stato di forma confermato da questo suo nuovo album intitolato “Solitary
Company”. Disco in cui emerge tutta la forza evocativa di una scrittura adulta
fatta di istantanee affascinanti, del sapore di luoghi senza tempo e di
un’umanità vagabonda alla costante ricerca di una creatività piena e compiuta.
Dalle prime e timide note della eccellente “Alicia” alle tonalità seppiate
della conclusiva “Remember Me” c’è tutto lo spettro musicale e le dinamiche di
un artista che ha saputo calarsi perfettamente in un angolo d’America che negli
anni ha costituito il ‘buen retiro’ per molti, godendo di paesaggi di
straordinaria attrattiva e seduzione. Echi western come in “Stardust” in cui
appare, ‘morriconianamente’, un fischio, rimandi al Dylan di ‘Pat Garrett &
Billy The Kid” nella espressiva “When The Lights Go Down”, la country music
della spigliata “The Ferris Wheel” e le interessanti “11 & 9” e “The Only
Child” a formare un insieme di ottima personalità e sagacia. “Solitary Company”
è conferma di uno status ormai consolidato, foriero di prossime promettenti
tappe in un percorso finora irreprensibile.
Remo Ricaldone
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