A
due anni dal precedente “Cumberland Island”, album personale sul suo recente
matrimonio e sulle sensazioni lagate ai luoghi del cuore, Neilson Hubbard torna
ad incidere con la preziosa collaborazione del compagno di avventure con gli
Orphan Brigade Ben Glover che co-produce il disco, vi suona con la consueta
maestria e sensibilità e firma a quattro mani alcune delle canzoni che formano
un insieme di grande poesia e di intima emotività. Neilson Hubbard segue cuore
ed anima attraverso un percorso in cui la canzone folk la fa da protagonista in
una declinazione decisamente contemporanea per arrangiamenti e scrittura. Un
disco in cui appaiono inflessioni irlandesi che ben si amalgamano con quelle
del retaggio americano e vengono presentate nell’abituale veste minimale ed
essenziale ma sempre calda ed accorata, a partire da “Our DNA” che apre la
selezione e riveste un’importanza particolare per il protagonista in un
‘dialogo’ con il figlio in cui si sottolinea quanto si debba resistere al
cinismo tipico dell’età adulta per privilegiare la freschezza e le speranze
della gioventù. La title-track “Digging Up The Scars” rappresenta il lato più
melodico ed orecchiabile in uno dei momenti più godibili, “The End Of The Road”
rimanda al Tom Waits più ‘folkie’ degli esordi grazie ad una musicalità veramente
seducente, “Fall Into My Arms” è sussurrata e modulata secondo i criteri di un
folk-pop suggestivo e per niente scontato. L’ormai consueta confezione con le
traduzioni dei testi in italiano, tipica della Appaloosa Records, è qui
particolarmente apprezzata per godere di tutte le sfumature di queste canzoni,
tutte generosamente consegnate alla’ascoltatore in una veste dal grande peso
poetico. “Digging Up The Scars” è come sottolinea il titolo lo scavare nelle
cicatrici delle nostre esistenze, un nuovo brillante capitolo di una carriera
importante e stimolante.
Remo Ricaldone
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