Bard
Edrington incarna alla perfezione lo storyteller le cui narrazioni sono
fortemente legate alle asprezze e alle meraviglie dei paesaggi del border.
Originario di Santa Fe, New Mexico, Bard mostra di possedere quel talento
comune a molti altri autori e cantanti provenienti dal Lone Star State che
permette di rendere l’ordinario straordinario e di fissare i protagonisti in un
ambiente tanto desolato quanto affascinante in cui si collocano naturalmente
suoni tra country e folk, spesso acustici e pregni di autentica poesia. Inciso
praticamente in presa diretta negli splendidi scenari del Big Bend National
Park tra Texas e Messico, “Two Days In Terlingua” mette in mostra una capacità
non comune di cogliere gli aspetti più intriganti di quel mondo, sulla falsariga
e seguendo l’esempio di gente come Townes Van Zandt, Guy Clark e, per affinità
elettiva, anche Evan Felker, già frontman dei Turnpike Troubadours. Non poteva
che essere la splendida “Ramblin’ Kind” ad aprire il disco, profonda ed
evocativa come fosse la musica che accompagna immagini di strade sterrate e
polverose che portano all’infinito, mentre “Property Lines” segue a ruota con
passo cadenzato e l’accoppiata violino/chitarra elettrica a sottolineare le
asperità della terra e dei luoghi. “Two Days In Terlingua” non ha momenti meno
che sorprendentemente sinceri ed autentici, schietti nella narrazione e
consistenti nelle interpretazioni, da “Shut The Screen Door” con la steel di
Alex McMahon puntuale nei contrappunti come in ogni momento in cui viene chiamata
a svolgere il proprio compito alla godibilissima e puramente texana “A New Day On The Farm”, dalla deliziosa e
scarna “Bard And The Bears” a “Ma Cherie” con le sue emozioni cajun. “Black
Coal Lung”, “Athena’s Gaze” e “Dog Tags 1942” arricchiscono ulteriormente
l’album ma tutta la selezione viaggia a livelli eccellenti senza sprecare una
nota. Tra le migliori sorprese di quest’anno.
Remo Ricaldone
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