Gli
album strumentali sono per definizione complessi e di non facilissima
fruibilità. C’è bisogno del ‘mood’ giusto per apprezzarne le sfumature e per
entrare in quel particolare mondo che il musicista vuole evocare. Steve Dawson
è un musicista (e produttore) che non si ferma mai e che ama sperimentare e
questo suo nuovo lavoro intitolato “Phantom Threshold” rientra a pieno titolo
tra le sue opere più ambiziose, ispirandosi più o meno chiaramente alle colonne
sonore di Ry Cooder e unendo il suo amore per le radici country, folk e blues
con quello per il pop (e qui si può citare la cover di “You Still Believe In
Me” dei Beach Boys firmata da Brian Wilson) e per certa psichedelia sixties.
Protagonista assoluta nel corso di questo affascinante viaggio sonoro è la
pedal steel che nelle mani di Steve Dawson assume connotati onirici e
fantasiosi (a me spesso ricorda l’immenso lavoro di Jerry Garcia con questo
strumento), sempre nell’ottica di un racconto che può configurarsi come ‘road
trip’ di grande presa. Con Steve Dawson ci sono i magnifici tamburi di Jay
Bellerose, le tastiere di Chris Gestrin e il solido basso di Jeremy Holmes,
trio con l’artista canadese da anni, mentre spicca com ospite Fats Kaplin a fiddle,
banjo e fisarmonica. Non mancano le citazioni in questi undici momenti in cui
si divide il disco, dai Grateful Dead ad un western dai toni suggestivi ed
onirici dando ampio spazio all’urgenza ispirativa e alla voglia di mettersi in
gioco da parte di Steve Dawson. Una grande libertà espressiva che travalica i
suoni, li unisce e li intreccia con efficacia e freschezza, superando l’esame
finale e risultando godibile e fresco in riferimento ai prodotti della stessa
gamma. “Phantom Threshold” merita un ascolto soprattutto nei momenti in cui si
cerca ispirazione e voglia di lasciarsi trasportare da una musica comunque
ricca di pathos.
Remo Ricaldone
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