16:34

The Miners - Megunticook

Pubblicato da Remo Ricaldone |

The Miners sono una ottima band dedita ai suoni ‘alternative country’ che arriva da Philadelphia, Pennsylvania e che localmente si è già fatta un buon nome con un’attività live qualitativamente di livello, con un percorso iniziato nel 2007 e, qualche anno dopo, con un debutto intitolato “Miner’s Rebellion”, un ep che li aveva fatti notare dalla critica nazionale tra cui l’autorevole rivista No Depression. Ora “Megunticook” è il loro disco a lunga durata che li pone davanti ad una carriera destinata ad avere grandi soddisfazioni grazie alla eccellente vena compositiva del leader Keith Marlowe (voce e chitarre ma anche pedal steel, banjo e armonica) e alla solida presenza di Brian Herder, notevolissimo alla pedal steel guitar e a dobro, slide ed elettrica, di Gregg Hiestand al basso e a Vaughn Shinkus ai tamburi. Il quartetto ha nelle vene la passione per i classici (Merle haggard in primis), per la ‘visione’ di un Gram Parsons e del country-rock di inizio anni settanta e per l’americana di band come Uncle Tupelo e Whiskeytown e l’album in questione si regge con grande ispirazione e naturalezza su un repertorio di qualità e maturità. “Megunticook” si apre con la deliziosa ed acustica “Without You”, canzone che mette subito in luce gusto e amore per le radici country, con “Leaving For Ohio” degna del repertorio di band come Jayhawks o Son Volt e “Walnut Lane” che scorre splendidamente tra chitarre e pedal steel. “Natalie” prosegue con freschezza il percorso di Keith Marlowe e soci con un altro esempio di country music ispirata ed essenziale mentre “Call Me Up” aggiunge quel pizzico di rock nel modo più classico e semplice. La semplicità è appunto alla base di un disco dai connotati lineari e fedeli ai ‘padri putativi’ per una band che merita attenzione e che nella seconda parte ci regala ancora momenti godibili come “Black Bart”, delicata e ricca di riferimenti californiani, “Apologize” che si avvicina idealmente ai grandi Long Ryders, “Day The Drummer Died”, “Baby Boots” e infine “Cardboard Sign”che chiude con i suoni acustici della tradizione. Album estremamente piacevole che ha il grande merito di farci conoscere uno dei tanti segreti ben custoditi della scena alternative country indipendente.

Remo Ricaldone

 

0 commenti:

Posta un commento

Iscriviti alla newsletter