
Tra
i più luminosi esordi di questi ultimi tempi, quello di Jack Schneider,
storyteller nato a New York ma trasferitosi nel profondo sud prima in Georgia e
poi, quasi inevitabilmente, a Nashville, rappresenta la più ispirata canzone
d’autore che prende spunto dal folk e dalla country music per diffondere poesia,
emozioni e grande passione. Fin dalla copertina con quel rimarcato amore per
l’essenzialità e per i sapori ‘vintage’ abbiamo di fronte un album che rimanda
alle molte produzioni artigianali tra gli anni sessanta e i settanta del secolo
scorso riproponendo la stessa freschezza e lo stesso gusto melodico di cui è
ricca la narrazione di Jack Schneider. Scorrendo poi le note di copertina ci
rendiamo conto che questo è un lavoro da rimarcare per molteplici motivi: la
registrazione in uno dei templi della città di Nashville come i Sound Emporium
Studios e la presenza di nomi come Vince Gill, amico con cui il nostro ha
stretto un solido patto di collaborazione negli anni scorsi, David Rawlings
alle chitarre acustiche e al banjo, Stuart Duncan a fiddle e mandolino e Dennis Crouch al contrabbasso tra gli altri,
eccellenze della musica acustica legata alle radici. Il resto lo fanno le
notevoli doti compositive, una finissima tecnica chitarristica e una voce
perfettamente in grado di avvincere e commuovere, mantenendo per tutta la
durata del disco, per le dieci pregevoli canzoni, un livello molto, molto alto.
Difficile quindi scegliere un brano piuttosto che un altro in una selezione che
non ha punti deboli, con un Jack Schneider sempre attento e misurato nell’esternare
le proprie emozioni. Qui siamo dalle parti della più nobile tradizione
cantautorale, prendendo spunto dal Bob Dylan ‘nashvilliano’ e bucolico dei suoi
dischi di fine anni sessanta, dai troubadours texani ‘emigrati’ a Music City
nella decade successiva come Guy Clark e Townes Van Zandt e dalla roots music
del nuovo millennio come quella della coppia Gillian Welch e David Rawlings,
senza poi citare due nomi come Ryan Adams e Neil Young da cui provengono certe
inflessioni. “Josephine”, la title-track “Best Be On My way”, “Farewell
Carolina”, la conclusiva “Del Rio Blues” e “Marietta” sono alcuni dei momenti
migliori di un album da gustare nella sua completezza. Sicuramente tra i
migliori dell’anno.
Remo Ricaldone
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