Attualmente
residente a Brooklyn, New York dove negli anni è passato da un ‘quasi
bluegrass’ ironicamente nominato ‘jewgrass’ dalle sue radici ebraiche al
folk-rock in compagnia della cantautrice Joanie Leeds come Joanie & Matt,
il musicista nativo della Pennsylvania ha via via abbracciato quel suono
tipicamente anni settanta che ha unito in maniera profondamente poetica
country, pop, folk e rock trovando terreno fertile specialmente sull’altra
costa, in California. “Without A Throne” battezza in maniera piena e completa
una musicalità che ha trovato in questi anni molti epigoni e molti estimatori,
senza fronzoli e senza soluzioni artificiose, dando invece spazio ad una poetica
limpida e tersa. Inciso a Nashville sotto la supervisione e il fondamentale
contributo strumentale del producer Thomas Bryan Eaton, “Without A Throne” è un
disco dalla bellezza naturale, semplice, pulita, un lavoro la cui brevità
(supera di poco i venticinque minuti per sette brani) non inficia un racconto
proprio per questo essenziale e mai
dispersivo. L’album si apre con uno dei brani manifesto, una “The Very
Beginning” che sottolinea l’inizio di un percorso maturato negli anni e vicino
allo spirito di un Jackson Browne e di quella generazioni di artisti che hanno
segnato specialmente una (lunga) stagione, quella degli anni settanta in cui si
passò dalle utopie, dal ‘movimentismo’ e dall’impegno degli anni sessanta alle
forme più intimiste e personali della decade successiva, la cosiddetta ‘me
generation’. “Old Wooden Floor” rimanda alle atmosfere rurali del Neil Young
più vicino ai suoni delle radici in un momento fortemente autobiografico legato
ad un particolare momento della vita del protagonista e dei suoi problemi con
l’alcool mentre “Pretty Mama” ribadisce con forza influenze country naturali
visto il contesto in cui è concepita, mostrando un Matthew Check perfettamente
a proprio agio. Il suono del disco è comunque in grande equilibrio e ci si sposta
facilmente verso inflessioni più pop come nella piacevolezza pianistica della
seguente “The Way That You Are” con ancora il gusto dei ‘seventies’ a farsi
sentire, con “What A Father Would Do (Absalom)” a portare le atmosfere
maggiormente verso il rock e con il piano di John Pahmer sempre in bella
evidenza. “The Shape It Appears”, sontuosa ballata che sa di (real) country e
“Because You Can” con le sue deliziose colorazioni caraibiche che ricordano un
po’ i Grateful Dead e anche certe cose di Loggins & Messina chiudono in
bellezza una bella sorpresa che merita l’attenzione di chi è legato ad un
passato che continua a tornare e a ispirare.
Remo Ricaldone
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